Semplicità e concordia. Gli storici Malgeri e Giovagnoli sulla visita di Papa Francesco
al Quirinale
Semplicità e concordia. E’ il binomio che ha contraddistinto la visita di Papa Francesco
al Quirinale. Forte anche il richiamo alla speranza che ha accomunato il discorso
del Pontefice e del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sui tratti salienti
e anche originali di questo evento, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof.
Francesco Malgeri, storico dell’Istituto Luigi Sturzo:
R. – Il primo
elemento che salta agli occhi è la semplicità di questo incontro, al di fuori di ogni
protocollo, che evidenzia anche l’amore che il Papa ha dimostrato e dimostra per l’Italia.
Quel suo richiamo, quella sua indicazione, quel suo desiderio di voler "bussare alla
porta di ogni italiano" mi sembra un elemento di grande significato.
D. – Tra
i temi forti, forse anche più di un tema, è la sottolineatura della "concordia" nell’incontro,
presente non solo nei gesti, ma poi anche nelle parole dette sia da Napolitano sia
da Francesco …
R. – Certamente. Diciamo che si coglie una preoccupazione comune
per le sorti del nostro Paese, anche la volontà di trovare una collaborazione anche
tra lo Stato e la Chiesa: quel suo richiamo anche ai precedenti storici dei rapporti
tra Stato e Chiesa per ribadire che ormai c’è un clima di concordia e di collaborazione,
mi sembra significativo. Pure la precisazione che fa Papa Francesco sulla distinzione
dei rispettivi ruoli e ambiti di azione: tutto questo, in qualche modo, chiarisce
la visione di questi rapporti.
D. – Papa Francesco, a un punto del suo discorso,
ha parlato di speranza, che è proprio una cifra della sua persona e del suo Pontificato.
Evidentemente, il presidente Napolitano coglie questo elemento che è così sacrificato
in questo momento, in Italia, soprattutto se pensiamo alle nuove generazioni e al
bisogno di lavoro…
R. – Certamente. Diciamo che tutto l’incontro, in qualche
modo, sembra sorretto da questo discorso della speranza, della necessità di moltiplicare
gli sforzi per superare questo periodo di crisi, soprattutto nei confronti dell’uomo
e dell’esigenza del lavoro. Anche il richiamo alla famiglia mi sembra molto significativo,
in quanto Papa Francesco individua nella famiglia il nucleo della società e da qui
l’esigenza di sostenerla e di collaborare anche con lo Stato in questa opera di sostegno.
Sul
richiamo di Papa Francesco alla concordia, in un tempo segnato da particolarismi specie
in politica, si sofferma il prof. Agostino Giovagnoli, storico della Cattolica
di Milano, intervistato da Alessandro De Carolis:
R. – Papa Francesco
ha sottolineato l’importanza della concordia, che è una reazione certamente, dal suo
punto di vista, alla realtà italiana. Credo che vada anche collegata alle sue convinzioni
di fondo: quando si è rivolto ai suoi connazionali argentini, negli anni Novanta e
negli anni Duemila, Jorge Bergoglio ha spesso insistito sul fatto che la democrazia
è pluralismo, confronto fra posizioni diverse, ma è anche e soprattutto ricerca dell’unità:
deve essere convergenza verso l’unità. Quindi, in qualche modo, in questa sua raccomandazione
agli italiani si sente anche l’eco di una convinzione profonda che è quella per cui
la frammentazione, l’individualismo – che sono "malattie" argentine, italiane e non
solo – rappresentano un problema, perché in definitiva non aiutano a cercare la soluzione
dei problemi, ma la allontanano.
D. – In un periodo dove non solo in Italia,
ma anche in molte nazioni del mondo, specie d’Occidente, ci sono molte politiche che
vanno in direzione contraria o diversa rispetto al modo comune di considerare, come
è stato finora, la famiglia all’interno della società, ieri il Papa ha detto con molta
chiarezza, com'è suo costume, la famiglia ha bisogno di stabilità e riconoscibilità...
R.
– Non sono sorpreso da queste affermazioni. Del resto, anche nella recente iniziativa
promossa dal Pontificio Consiglio per la Famiglia sono già emerse queste posizioni.
Quindi, io credo che siamo su una linea che continuerà anche in futuro e su cui non
credo avremo delle sorprese, pur naturalmente con quell’enorme attenzione missionaria
per cui il Papa è alla ricerca sempre delle vie del dialogo.
D. – In questo
senso, credo vada anche inteso quel nuovo e insistito appello che il Papa ha fatto
nel segno dell'attenzione verso i più poveri, cioè quella "carne di Cristo" degli
immigrati, come la chiama lui, ricordando la sua prima visita pastorale a Lampedusa...
R. – Certamente. Il significato di quella visita è incancellabile. Che il
primo gesto da lui compiuto, appunto, in Italia, sul suolo italiano, sia stato andare
a Lampedusa io credo resterà una chiave interpretativa fondamentale del suo Pontificato.
Io credo di capire che quest’incontro con i poveri è il cardine di quella più ampia
cultura dell’incontro, di cui ha pure fatto espressione il presidente Napolitano,
che è anch’essa molto tipica di Papa Francesco: la cultura dell’incontro di una Chiesa
che muove incontro agli uomini e le donne del nostro tempo a partire proprio dai più
deboli, a partire proprio dai più poveri.