2013-11-14 11:41:07

Congo. Nel nord Kivu l'M23 si divide: una fazione pronta a firmare la pace


A pochi giorni dalla sconfitta militare in Nord Kivu e dalla mancata firma di un accordo di pace a Kampala, la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23) si è divisa in due fazioni. A dare notizia della scissione è la guida dell’ala che si autodefinisce “realista”, quello che finora è stato il segretario dell’ufficio politico del’M23, Serge Kambasu Ngeve. In una conferenza stampa nella capitale ugandese, dove sono naufragati i negoziati con le autorità di Kinshasa - riferisce l'agenzia Misna - Ngeve ha dichiarato di avere con sé “la stragrande maggioranza degli esponenti dell’M23 che si rifiuta di essere ostaggio di una minoranza ferma su posizioni intransigenti e che blocca la conclusione del processo di pace”. Il capo della nuova fazione ha denunciato “il gioco di parole” dell’ala ‘dura’ che cerca di imporre il termine di “accordo di pace” mentre Kinshasa preferisce quello di “dichiarazione” o “conclusioni” per tenere conto della sconfitta militare dell’M23. Guardando al futuro del gruppo ribelle nato 18 mesi fa, sostenuto da Rwanda e Uganda, Ngeve ha sottolineato che “questo gioco di parole ha implicazioni politiche che rischiano di portare al suicidio collettivo della nostra organizzazione”. Smarcandosi dalle posizioni di Bertrand Bisimwa, capo politico dell’M23, e di René Abandi, capo negoziatore della ribellione, Ngeve ha affermato di condividere la linea del governo congolese, dicendosi pronto a firmare il documento conclusivo in cambio di “amnistia, accantonamento o reinserimento delle nostre truppe alla vita civile”. Intanto l’Onu ha chiesto al governo di Kinshasa di ideare un piano permanente di smobilitazione, disarmo e reinserimento (Ddr) che sia applicabile “a tutti gli altri gruppi armati attivi” in Kivu, insistendo che in assenza di tale piano “pace e sicurezza non potranno essere garantite a lungo”. Il capo della locale missione Onu (Monusco), Martin Kobler, ha invece avvertito che “se i gruppi armati si rifiutano di consegnare le armi su base volontaria, saranno costretti dai caschi blu”, annunciando una linea “dura” nei confronti di tutti i ribelli ancora attivi nell’instabile provincia mineraria. Rimane ancora incerto il potenziale numero di ribelli dell’M23 che potrebbero essere coinvolti nel processo Ddr; variano dai 1400 ai 1700 i combattenti rifugiati in Uganda mentre quelli che si trovano in Rwanda potrebbero essere soltanto un centinaio. Sul terreno il ministro dell’Interno congolese Richard Muyej ha annunciato il prossimo dispiegamento di 300 agenti di unità speciali della polizia nei territori di Rutshuru e Nyiragongo per “consolidare la sicurezza” e “ristabilire l’autorità dello Stato”. Inoltre verrà istituito un comitato di crisi incaricato della gestione “trasparente degli aiuti umanitari da destinare alle popolazioni in difficoltà”. La Monusco ha invece smentito la presenza di soldati ruandesi in territorio congolese, denunciata nei giorni scorsi dalla società civile del Nord Kivu. Nonostante la vittoria dell’esercito regolare (Fardc), società civile e difensori dei diritti umani hanno già espresso “preoccupazione” per il rischio di una contro-offensiva ruandese e di un tentativo di riorganizzazione dei ribelli rifugiati nel confinante Uganda. (R.P.)








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