2013-11-10 10:33:14

Africa: economia cresce del 5%, ma gran parte popolazione resta poverissima


Come ormai da qualche anno, anche nel 2013 l’Africa avrà, complessivamente, un tasso di crescita economica vicino al 5%, secondo il rapporto African Economic Outlook. Ma la povertà colpisce ancora molti abitanti del continente, e le risorse naturali africane spesso prendono la strada di Paesi in altri Continenti. Su queste due realtà contrastanti, Davide Maggiore ha sentito l’opinione dell’ambasciatore Emanuele Pignatelli, a lungo rappresentante diplomatico italiano in Eritrea:RealAudioMP3

R. – Le due Afriche convivono. Quello che è importante è che l’Africa sta cercando di darsi linee politiche proprie da seguire, possibilmente su base continentale. In questo è importante il ruolo sia dell’Unione Africana sia delle organizzazioni regionali. Certo, l’Ecowas (Economic Community of West African States) in Occidente è più forte dell’Igad (Intergovernamental Authority on Development) ad Oriente; ci sono Paesi ricchi, più omogenei in risorse minerarie e petrolifere, altri più aperti al commercio, come l’Africa orientale. La storia insegna che l’Africa ha sofferto per la politica commerciale sbilanciata imposta dalle potenze. Lo conferma anche – purtroppo – la fine del mondo bipolare.

D. – Quanto pesa per lo sviluppo economico dell’Africa la stabilità interna e la democrazia interna dei vari Paesi?

R. – La stabilità non è la chiave risolutiva, perché stabilità può essere anche ‘addormentarsi’ e non fare politica, perpetuarsi al potere. Ma quando c’è vera democrazia, c’è un dibattito, un’apertura. Può essere doloroso – come succede ora nei Paesi del Nordafrica – ma è fondamentale che la gente si senta convinta di poter partecipare.

D. – Non bisogna però nascondere che rimangono degli ostacoli allo sviluppo economico dell’Africa: ad esempio, i trasporti…

R. – I trasporti incidono, in Africa, per la cifra mostruosa del 77 per cento sul costo del prodotto finito. Questo spiega anche la volontà della Cina, che forse prima o poi anche altri Paesi seguiranno, di de-localizzare in Africa alcune produzioni, anche se questo è inevitabile che crei attriti con i produttori locali che si vedono inondati da un know-how superiore, da un finanziamento più abbondante.

D. – Esiste un modello di cooperazione che possa permettere una partnership positiva, in cui anche le Nazioni africane conservino un loro ruolo?

R. – Il G8 aveva l’abitudine di invitare Paesi africani alle sue riunioni annuali per informarli delle decisioni prese. Si è chiesto che questi Paesi inviino i loro rappresentanti, a livello di capo di Stato, per partecipare al processo decisionale, in modo da poterlo seguire. E questa è una chiave perché quei Paesi esercitino fin dall’inizio la loro partnership e indichino loro stessi come superare strettoie universitarie, informatiche, di trasporti …

D. – Parlando di economia non si può non parlare anche di risorse umane. Per l’Africa, in questo momento, sono ancora un ostacolo o incominciano ad essere un’opportunità?

R. – Il discorso è delicato, perché ho l’impressione che la demografia proceda più in fretta della creazione di posti di lavoro. Gli africani sono oggi un miliardo; diventeranno due miliardi nel 2040: questo crea dei problemi di formazione. C’è anche un problema nel problema: se lei manda troppi giovani a studiare fuori, non è detto che tutti ritornino. Molti rimangono, perché trovano più conveniente esercitare la professione di medico, di docente nei Paesi dove hanno studiato. Quindi, se la demografia riuscirà a tenere il passo dello sviluppo, non tanto della produzione, quanto della creazione di impiego, allora è senz’altro una risorsa.







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