La crisi impone di eliminare le barriere dell'ingiustizia: così il Papa nella prefazione
a libro del card. Bertone
La vera sfida per il futuro dell’umanità è quella di costruire una pace e uno sviluppo
che non escludano nessuno: è quanto afferma Papa Francesco nella sua prefazione al
libro del card. Tarcisio Bertone intitolato “La diplomazia pontificia in un mondo
globalizzato” (edito dalla Libreria Editrice Vaticana), che sarà presentato martedì
12 novembre alle ore 17.00, nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano. Il servizio di
Sergio Centofanti:
La crisi globale
che stiamo vivendo – scrive Papa Francesco – ci impone di “eliminare le tante barriere
che hanno sostituito i confini: disuguaglianze, corsa agli armamenti, sottosviluppo,
violazione dei diritti fondamentali, discriminazioni, impedimenti alla vita sociale,
culturale, religiosa”. Il nostro futuro, infatti, non dovrà parlare solo “il linguaggio
della pace e dello sviluppo” ma essere capace “nei fatti di includere tutti, evitando
che qualcuno resti ai margini”.
In questo contesto – afferma il Papa - la
diplomazia è “un servizio, non un'attività ostaggio di interessi particolari dei quali
guerre, conflitti interni e forme diverse di violenza sono la logica, ma amara, conseguenza;
né strumento delle esigenze di pochi che escludono le maggioranze, generano povertà
ed emarginazione, tollerano ogni genere di corruzione, producono privilegi e ingiustizie”.
“La
crisi profonda di convinzioni, di valori, di idee – osserva ancora il Pontefice -
offre all'attività diplomatica una nuova opportunità, che è allo stesso tempo una
sfida. La sfida di concorrere a realizzare tra i diversi popoli delle nuove relazioni
veramente giuste e solidali per cui ogni Nazione e tutte le persone siano rispettate
nella loro identità e dignità, e promosse nella loro libertà”.
“Di fronte a
questa globalizzazione negativa che è paralizzante – sottolinea - la diplomazia è
chiamata a intraprendere un compito di ricostruzione riscoprendo la sua dimensione
profetica, determinando quella che potremo chiamare utopia del bene, e se necessario
rivendicandola”. “La vera utopia del bene, che non è un'ideologia né sola filantropia,
attraverso l'azione diplomatica può esprimere e consolidare quella fraternità presente
nelle radici della famiglia umana e da lì chiamata a crescere, a espandersi per dare
i suoi frutti”. Occorre rompere “la logica dell'individualismo”. In questo senso
– prosegue il Papa - “la prospettiva cristiana sa valutare sia ciò che è autenticamente
umano sia quanto scaturisce dalla libertà della persona, dalla sua apertura al nuovo,
in definitiva dal suo spirito che unisce la dimensione umana alla dimensione trascendente.
Questo è uno dei contributi che la diplomazia pontificia offre all'umanità intera,
operando per far rinascere la dimensione morale nei rapporti internazionali, quella
che permette alla famiglia umana di vivere e svilupparsi assieme, senza diventare
nemici gli uni degli altri”. “È il rifiuto dell'indifferenza o di una cooperazione
internazionale frutto dell'egoismo utilitaristico, per fare invece attraverso organi
comuni qualcosa per gli altri”.
Infatti – scrive Papa Francesco – “non sarà
facendo prevalere la ragion di Stato o l'individualismo che elimineremo i conflitti
o daremo ai diritti della persona la giusta collocazione. Il diritto più importante
di un popolo e di una persona non sta nel non essere impedito di realizzare le proprie
aspirazioni, bensì nel realizzarle effettivamente e integralmente. Non basta evitare
l'ingiustizia, se non si promuove la giustizia”.
Il Papa ricorda il servizio
del cardinale Bertone come segretario di Stato “a sostegno generoso e fedele” del
pontificato di Benedetto XVI: “la sua pacata e matura esperienza di servitore della
Chiesa – scrive - ha aiutato anche me, chiamato alla sede di Pietro da un Paese lontano,
nell'avvio di un insieme di relazioni istituzionali doverose per un Pontefice”.
Quindi
conclude: “la storia, la cui misura è la verità della croce, renderà evidente l'intensa
azione del cardinale Bertone, che ha dimostrato anche di avere la tempra piemontese
del gran lavoratore che non lesina nelle fatiche nel promuovere il bene della Chiesa,
preparato culturalmente e intellettualmente e animato da una serena forza interiore
che ricorda la parola dell'apostolo delle genti: ‘Di null'altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita
e risurrezione; per mezzo di Lui siamo stati salvati e liberati’ (Galati, 6, 14)”.