2013-11-09 14:49:53

Colombia: luci e ombre sugli accordi di pace tra governo e Farc


I negoziati, in corso a Cuba da circa un anno, tra governo della Colombia e i ribelli delle Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, sono a buon punto. Le parti hanno già raggiunto un accordo parziale sulla partecipazione politica del movimento, ma si attende di conoscere i particolari di un’intesa che dovrebbe essere decisamente più ampia. Unico dubbio, i forti legami con il narcotraffico, che la guerriglia ha avuto nel corso del cinquantennale conflitto, costato la vita a oltre 200 mila persone. Sulla svolta in Colombia, Giancarlo La Vella ha parlato con Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università di Milano:RealAudioMP3

R. – Io credo sia molto difficile giudicare una situazione che è estremamente complessa. Analoga complessità c’è in altri Paesi latinoamericani: un caso per tutti, è quello peruviano. Credo che qualunque percorso di riconciliazione sia, per certi aspetti, doveroso: non si può continuare a mantenere una ferita, legata alla lacerazione del Paese, aperta permanentemente. Il problema è a quali condizioni si fa una riconciliazione. Allora, c’è da riconoscere un pericolo forte e cioè quello che è realmente avvenuto e la natura delle organizzazioni, che erano nate per una lettura politica delle battaglie per le libertà negate e che poi hanno scelto addirittura la lotta armata.

D. – Prof. Moro, questo anche nel caso della Colombia?

R. – Il caso delle Farc è un caso diverso: è un caso in cui questa scelta è continuata in una permanente opposizione allo Stato. Francamente, viene da pensare che la spinta politica fosse venuta meno e che ci fosse, viceversa, solo il rifiuto di dialogare con una istituzione diversa da quella che nel frattempo si era riuscita a creare. Ricordiamo che le Farc hanno creato una sorta di Stato dentro lo Stato, nettamente separato dalle istituzioni ufficiali.

D. – Dietro tutto questo, secondo lei, rimane un po’ l’ombra del narcotraffico?

R. – Questa, come dire, autoreferenzialità, assieme alla ricerca del potere per la propria organizzazione, ha portato a cercare l’alleanza con il narcotraffico per poter sopravvivere. Inizialmente è stata un’alleanza tecnica, ma dopo qualche anno questa alleanza si è trasformata in una commistione totale: non si poteva più distinguere tra organizzazione sedicente terrorista e narcotraffico.

D. – Il narcotraffico è stato solo un modo per autofinanziarsi o è qualcosa che può rimanere pericolosamente ancora nel futuro del Paese colombiano?

R. – Io credo che questo sia un nodo fondamentale. Secondo me, non è stata solo un’alleanza tecnica per finanziarsi. Dopo anni per molti, forse non per tutti, è diventato un fenomeno in cui non si può più distinguere il gruppo politico dal narcotrafficante. E quando accade questo il gruppo politico scompare. Ma quando si parla di “gruppo narcotrafficante” vuol dire parlare di un gruppo che vuole liberarsi dalle regole, che non vuole stare alle regole delle Stato, che non vuole stare alle regole di solidarietà e di corresponsabilità che in una nazione esistono, per poter continuare al contrario una propria esperienza di potere autonomo. Questo significa che una riconciliazione oggi è doverosa, perché chi vive questa realtà, vive una condizione che è di disperata solitudine, anche se ritiene di avere la sovranità su una parte di territorio dello Stato. Credo sia compito dello Stato trovare la maniera per dialogare e per richiamare i valori la democrazia. Credo però che si debba essere molto attenti al rispetto di alcune condizioni: da un lato lo scrupoloso rispetto della legalità, ma dall’altro lato anche una ricerca di ricostruzione della verità, per capire che cosa è accaduto e perché non avvenga una riconciliazione intesa come un semplicemente dimenticare. Il problema è chiudere la porta su un passato che ha degli miasmi velenosi: però, per farlo ci vuole un comune riconoscimento di quanto è avvenuto e l’intenzione di voler camminare insieme. In ogni caso, e con tutte le premesse critiche, questo processo di pacificazione credo sia un segnale interessante al quale dobbiamo guardare con speranza che, per quanto possibile, non diventi – viceversa – un esercizio di mistificazione.







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