2013-11-06 10:56:14

Il fenomeno della prostituzione minorile interroga famiglie e educatori: il parere dello psicologo, Lancini


Fa ancora discutere il caso delle due adolescenti che in un appartamento del quartiere Parioli a Roma si prostituivano con uomini di tutta Italia. Un giro alimentato su Facebook e sui telefonini, con la complicità di diversi adulti sfruttatori tra cui un genitore, ma di cui le ragazze non si ritengono vittime. Gli inquirenti dicono: “In loro tutto tradisce l’ansia di apparire adulte e considerano il fatto di suscitare desiderio una forma di potere”. Ma quello delle ragazzine romane non è certo l’unico caso di prostituzione minorile: è sui giornali di ieri la denuncia di un medico dell’Aquila secondo cui nel suo territorio, ragazze sotto i 14 anni sono pronte a vendere il proprio corpo anche solo per una ricarica telefonica. “Un fenomeno drammatico, sempre più diffuso, legato alla crisi” non solo materiale ma di valori, afferma il vescovo ausiliare dell’Aquila, mons. Giovanni D’Ercole che richiama gli adulti a prestare attenzione al disagio vissuto oggi dai giovani. Su questi aspetti, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento del prof. Matteo Lancini docente di psicologia all’Università Bicocca di Milano:RealAudioMP3

R. - Penso che abbiamo un problema importante, tra nuove normalità e nuove emergenze educative - a volte nuove patologie - rispetto al tema della “visibilità a tutti i costi”, dell’esposizione che spinge - e questo ci preoccupa molto - minorenni anche a mercificare addirittura il corpo - come succede anche in vicende meno drammatiche ma preoccupanti – e farsi fotografie che poi vengono pubblicate, in nome di un riconoscimento, di una valorizzazione di sé, della bellezza, della popolarità e del successo.

D. – Il fatto che queste ragazze abbiano detto che loro non si sentivano vittime in alcun modo, rientra in questo discorso che lei sta facendo? Era uno strumento per ottenere potere, successo, soldi, o anche semplicemente la ricarica di un cellulare: è così che funziona?

R. – L’angoscia degli adulti porta a dire che siano stati altri adulti a traviarle e a far perdere loro la retta via. In realtà, alcune volte la spavalderia, o la spregiudicatezza - che a volte mascherano anche la fragilità di alcuni ragazzi - spingono in modo attivo a fare queste azioni. Ci dobbiamo preoccupare anche dei modelli educativi, non solo del fatto che ci siano adulti male intenzionati. Possiamo, forse, provare a ricostruire un modello educativo in cui si tenga in considerazione la relazione con il corpo: cos’è il corpo, che significato ha, che cosa voglia dire fare i conti con un corpo naturale a fronte di un corpo ideale.

D. – Lei quando ascolta casi di questo genere, che idea si fa?

R. – Che non bisogna usare slogan e che bisogna capire che questi ragazzi non sono solo immaturi: hanno anche precocità. Hanno nuove capacità, sono forse anche più dotati di certe competenze, contrariamente a quanto si pensi, rispetto alle generazioni precedenti; però sono comunque figli della società e dei modelli educativi. La sensazione è che queste ragazze, prima di arrivare lì, non siano riuscite a chiedere aiuto ad un adulto di riferimento. O forse l’adulto non era neanche troppo disposto ad ascoltarle: non perché non avesse tempo, ma perché a volte forse si è troppo angosciati e non si vuole ascoltare cosa si sta vivendo durante l’adolescenza. Questo invece in un adulto non dovrebbe mai mancare, la capacità di mettersi all’ascolto anche delle difficoltà, dei propri figli, dei propri studenti o del ruolo che stanno svolgendo. Non sono necessariamente gli adolescenti ad essere malati: è una questione che riguarda anche i cambiamenti sociali, educativi che sono molto spinti anche dalla cultura degli adulti. Forse abbiamo un po’ esagerato con questa società del narcisismo, dell’immagine e della bellezza. Dobbiamo tornare indietro, ma in senso nuovo, non certo tornare indietro a 30 anni fa, che non avrebbe senso. Quello che voglio dire è che non c’è più un significato trasgressivo: anche questo avvenimento, se pensiamo, una volta sarebbe stato letto come una vicenda trasgressiva, no?, ma c’è sempre una richiesta di aiuto. È come se nella mente di questi ragazzi – e probabilmente è vero quello che riporta la stampa e che lei mi dice – ci sia il pensiero: “Cosa volete? Abbiamo fatto questa scelta: è normale”. E noi rimaniamo sbigottiti. Ma non è 'contro' qualcuno, non è l’azione trasgressiva di anni passati contro gli adulti, alla ricerca della libertà dei costumi sessuali: non c'entra niente! È un nuovo modo di intendere questa fase dello sviluppo. Allora, su questo, riadattare il modello educativo è la faccenda più complessa.







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