Caritas svizzera sul processo di riconciliazione in Rwanda a 20 anni dal genocidio
A quasi 20 anni dal genocidio in Rwanda, il Paese africano non ha ancora compiuto
il necessario lavoro sulla memoria e sull'elaborazione di quella immane tragedia,
condizione indispensabile per un’autentica pacificazione nazionale. La denuncia viene
dalla Caritas svizzera che, in un comunicato diffuso in questi giorni e ripreso dall’Apic,
chiama in causa l’attuale dirigenza ruandese, ma anche la comunità internazionale.
Secondo l’organizzazione caritativa cattolica, il bilancio del Governo di Kigali
guidato dal Presidente Paul Kagame è ambivalente: se da un lato, è riuscito a rimettere
in piedi le infrastrutture distrutte durante lo sterminio, dall’altro, esso continua
ad imporre con la forza una versione unilaterale del passato, mettendo a tacere tutte
le voci dissenzienti. In questa versione le milizie del Fronte Patriottico Ruandese
(Fpr) oggi al governo, sono presentate come forze di liberazione che nel 1994 riuscirono
a porre fine al genocidio dei tutsi e a liberare il Paese dal dominio degli hutu.
Una verità messa in dubbio dagli oppositori di Kagame, che ricordano come anche il
Fpr si fosse macchiato di massacri contro la popolazione civile hutu e che quindi
il confine tra vittime e carnefici non è così netto come pretende la versione ufficiale.
Ed è proprio a questa ricerca di una verità più equilibrata che si è strenuamente
opposto sinora il Governo Kagame, ricorrendo anche all’intimidazione. Chiunque oggi
osi rimettere in discussione la versione ufficiale sul genocidio del 1994 in Rwanda
è punito anche con il carcere e anche l’ergastolo. Il tutto - denuncia la Caritas
svizzera – con la complicità della comunità internazionale. In questo contesto – sottolinea
il comunicato - è essenziale sostenere le organizzazioni della società civile ruandese
impegnate nella promozione della pace e della riconciliazione. E’ quanto sta facendo
la stessa Caritas svizzera che da anni sostiene una rete di associazioni locali
di vedove e giovani e di organizzazioni religiose e non religiose impegnate su questo
fronte. “Un’interpretazione di parte del passato – sottolinea in conclusione il comunicato
- rischia di ostacolare una riflessione critica su quanto accaduto soprattutto tra
i giovani”. Il genocidio in Rwanda si consumò tra il 6 aprile e il 19 luglio del
1994, sotto gli occhi inerti delle comunità internazionale che lo liquidò come “scontro
tribale”. La persecuzione dei tutsi nel Paese si registrava sin dal 1959, ma prese
la forma del genocidio nel 1994 dopo l’attentato del 6 aprile in cui perse la vita
il Presidente hutu Habyarimana, alla guida di un regime dittatoriale. Il giorno successivo,
nella capitale e nelle zone controllate dai governativi, iniziarono i massacri perpetrati
per lo più a colpi di machete che hanno causato oltre 800mila morti. (A cura di
Lisa Zengarini)