Il card. Filoni: Chiesa in Pakistan attiva in una realtà difficile, ha bisogno di
solidarietà
Il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli, è appena rientrato dal Pakistan, dove si è recato per presiedere l’ordinazione
episcopale del vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad. Nel corso della visita
pastorale il porporato ha incontrato anche la comunità cattolica locale. Roberto
Piermarini ha chiesto al cardinale Filoni quale Chiesa abbia incontrato in Pakistan:
R. – La Chiesa
in Pakistan è minoritaria rispetto alla grande popolazione di questo Paese, ma è una
minoranza molto significativa e molto attiva. Io ho trovato una Chiesa estremamente
impegnata in ciò che fa, non solo dal punto di vista religioso, quindi nell’approfondire
ad intra la propria dinamica di fede, la propria dinamica pastorale, la propria dinamica
di impegno nei vari servizi sociali ed educativi, ma anche ad extra, cioè impegnata
attraverso i propri vescovi, la Conferenza episcopale, anche attraverso i sacerdoti,
nel contatto quotidiano con le realtà del Paese, in modo particolare quelle islamiche
e religiose. C’è anche una buona intesa con le Chiese cristiane locali da un punto
di vista dell’aiuto fraterno nell’affrontare problemi che riguardano la convivenza
tra cristianesimo e islamismo. Una Chiesa, dunque, molto attiva, molto viva. Una Chiesa
anche, come dire, che vive in una realtà precaria. L’immagine che dà San Paolo - quella
di un vaso di terracotta, tra situazioni molto difficili, tra vasi di ferro – è proprio
adatta e mi pare sia espressiva.
D. – Proprio a proposito di questa fragilità,
si avverte nel Paese la minaccia dell’estremismo, del fanatismo islamico, che coinvolge
non solo la Chiesa cattolica, ma tutta la comunità cristiana del Pakistan?
R.
– Sì, a me è sembrato che il Paese in se stesso vivesse questo trauma. Alcuni mi hanno
detto che questo non appartiene alla storia e alla cultura di un Paese giovane - ricordiamo
che il Pakistan è nato nel 1947- come il Pakistan. La convivenza in passato aveva
avuto difficoltà, ma non certamente di questo livello. Quindi, è vissuta a livello
globale come un trauma. Ovviamente i cristiani vivono gli attacchi sulla loro pelle,
date anche le esperienze difficili che hanno avuto. Si sa poi che quando le minoranze
sono messe alla corda da un punto di vista psicologico, da un punto di vista anche
di sopravvivenza, questo lascia il segno, diventa duro da accettare. Ho trovato, però,
che la gente non ha intenzione di scappare, di andarsene, quanto piuttosto di essere
attenta e di dare la propria testimonianza in questo Paese, dove la Provvidenza ha
messo i nostri cristiani. In questo credo che anche le autorità, al di là di ogni
aspetto poi di tipo politico, strettamente parlando, ne siano consapevoli. E’ una
Chiesa, quindi, che ha bisogno da parte di tutte le altre Chiese del mondo di sentire
solidarietà, di sentire affetto, di sentire sostegno nella preghiera, di non sentirsi
sola. E questo vale più di qualsiasi altro elemento che noi possiamo dare. Io, personalmente,
ho avuto occasione di sentire tanta gente che mi ringraziava solo per essere andato
lì, stare un po’ con loro, condividere questi momenti anche belli dell’ordinazione
del nuovo vescovo di Faisalabad, ma anche dire: “Ecco, sei stato con noi, abbiamo
pregato insieme, abbiamo vissuto qualche momento insieme”. Hanno ricevuto un po’ di
incoraggiamento, manifestando molto affetto al Santo Padre, del quale ho portato la
benedizione, e loro mi hanno detto di ricambiare con il loro affetto e la loro preghiera.
Da questo punto di vista, dunque, è una Chiesa che ci dà una bella testimonianza.
D.
– Da un punto di vista sociale ed educativo, quale ruolo svolge la Chiesa cattolica
in Pakistan?
R. – E’ un ruolo molto apprezzato, da sempre. Anche oggi le nostre
scuole non sono scuole per i cristiani, ma dove i cristiani sono presenti. I bambini,
i giovani, le ragazze sono presenti e studiano accanto a compagni, amici islamici,
che sono la maggioranza nelle scuole, e dove le stesse famiglie chiedono che i loro
figli vivano, si educhino insieme, stiano insieme, imparino insieme valori, modi di
fare, di conoscersi, secondo anche espressioni ovviamente religiose diverse. Le famiglie,
dunque, anche le autorità stesse, apprezzano l’opera scolastica che noi facciamo nelle
nostre scuole. Teniamo anche presente l’opera sociale che viene svolta. Noi abbiamo
lì una bella presenza di scuole, quasi 560; abbiamo anche 130 istituti di beneficenza.
La Caritas lavora molto bene ed è stato apprezzato anche il lavoro, che ha fatto dove
di recente c’è stato il terremoto e dove non esiste nessuna presenza cristiana, tutto
a vantaggio, è chiaro, di una popolazione che non è quella cristiana. C’è un apprezzamento,
dunque, da questo punto di vista sia per l’opera educativa sia per l’opera sociale.