Libia, ritrovati nel deserto 48 migranti dati per dispersi. Il Niger arresta 150 profughi
Circa 48 immigrati, dati per dispersi, sono stati ritrovati dalle autorità libiche
nel deserto mentre cercavano di raggiungere l’Egitto, ma all’appello mancherebbero
un’altra decina di migranti. Intanto il Niger ha proclamato tre giorni di lutto nazionale
dopo il ritrovamento dei 97 morti, ricordati ieri anche dal Papa e ha promesso la
chiusura del campo profughi di Agadez per limitare l’azione dei trafficanti di uomini.
Sempre in Niger l’arresto di 150 profughi che fuggivano verso l’Algeria. Intanto,
Lampedusa si prepara a commemorare le vittime del naufragio del 3 ottobre scorso.
Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Alganesh Fessaha, presidente
della Ong Ghandi per la Cooperazione e lo Sviluppo:
R. – Quella
zona è una zona calda, una zona di trafficanti. Il Niger, la Libia, il Sudan, l’Egitto,
sono zone dove queste cose accadono ogni giorno. Io non capisco come mai non ci siano
stati interventi in questi anni. Sono tanti anni che va avanti questa cosa. Ci si
ricorda soltanto quando c’è la morte. Ci sono pure migliaia di africani nelle prigioni
libiche ed anche in quelle che sono nelle mani dei beduini egiziani. La cosa grave
è che queste persone vengono raccolte come capi di bestiame in un centro profughi,
dove poi vengono prelevati dai trafficanti che, non appena sono stati pagati, li lasciano
nel deserto. Questo lo sanno tutti. Ma perché - dico - non si riesce ad intervenire
per bloccare questa situazione?
D. – Bisognerebbe fare qualcosa, diceva lei,
ma in termini pratici spesso non si riesce neanche a dare l’adeguato soccorso, il
primo soccorso a queste persone che si mettono in viaggio rischiando la vita...
R.
– Innanzitutto chiederei soprattutto alla comunità internazionale, di intervenire
nei Paesi di origine, perché quello è il problema fondamentale. Gli eritrei, per esempio,
scappano, ma perché? Non perché non amino la loro terra, la loro patria, ma perché
non c’è lavoro, c’è un servizio militare permanente, non c’è libertà di stampa, di
parola, non si trova da mangiare. Lo stesso in Niger. Idem sul versante del Mediterraneo.
Io le faccio un esempio: il centro di Lampedusa è un centro in cui ci si dovrebbe
stare una settimana, dieci giorni. I sopravvissuti del 3 ottobre sono ancora lì ed
è un mese. Non si sa per quale ragione. Quelli che sono tenuti nel centro, tra l’altro
non vogliono nemmeno rimanere in Italia: vogliono andarsene verso i Paesi scandinavi.
E lasciamoli andare. Se hanno delle famiglie, facciamo il ricongiungimento familiare.
Lasciamoli andare, agevoliamoli.
D. – Ieri l’ennesimo appello di Papa Francesco
per tutti coloro che muoiono in mare o nel deserto, che sperimentano la brutalità
del deserto ed anche l’appello invece per quei migranti che riescono ad effettuare
la traversata, ma che poi, una volta arrivati, non ricevono adeguata accoglienza...
R.
– Assolutamente: non ricevono niente di niente. Quando tu sai, infatti, che queste
persone hanno visto i loro compagni, le loro mogli annegare oppure morire nel deserto
di sete e cose del genere, dopo essere stati maltrattati - le donne violentate, i
ragazzi picchiati – dopo essere morti di fame, dopo tutta questa sofferenza, un po’
di attitudine umanitaria ci deve essere! Non si può ignorare, pensando di usare il
Frontex oppure solo un corridoio umanitario. Tutti parlano di pace, di democrazia
e poi si muovono solo in altri campi, ma non in questi contesti umani. L’unica persona
che ha sempre fatto un appello per questo – e lo ringrazio anche da parte di tutti
i morti in Niger, nel Sudan e in tutta l’Africa subsahariana - è il Papa. E’ l’unico
pure che ha voluto essere a Lampedusa per stare vicino ai sopravvissuti.
D.
– A proposito di Lampedusa, domani il Comune ha organizzato una commemorazione per
un mese dalla tragedia del 3 ottobre. Quello che viene in mente è anche come, a fronte
spesso di mancanze istituzionali, ci sia invece una grandissima solidarietà da parte
della popolazione, che riceve queste persone, e Lampedusa è in prima linea...
R.
– Per me Lampedusa è un esempio grandissimo, perché quando sono arrivati i parenti
per il riconoscimento delle salme, tutti hanno aperto le loro case. Tutti: dal sindaco
all’ultima persona. La loro generosità è stata incredibile.