2013-11-02 13:19:44

Il primate anglicano al vertice del Cec: il desiderio dell'unità è sempre più profondo


E’ in corso a Busan, in Corea del Sud, la 10.ma Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec) sul tema: ‘Dio della Vita, portaci alla giustizia e alla pace’. All’organismo sono associate oltre 300 Chiese e Comunità cristiane. Presente all’incontro, anche l'arcivescovo di Canterbury e primate della Chiesa anglicana Justin Welby. Philippa Hitchen lo ha intervistato:

R. – It’s my first experience...
E’ la mia prima esperienza, quindi sono davvero qui per imparare... La prima cosa che mi colpisce sono state le dimensioni e la portata della Chiesa e credo che una delle cose che fa il Cec sia mettere insieme i vari elementi della Chiesa, nonostante i forti disaccordi esistenti. Ma si ha un senso della portata e profondità e ampiezza dell’opera di Cristo nel mondo e questo è straordinariamente impressionante.

D. – Il Cec a volte viene criticato perché esalta la differenza e la diversità ...

R. – I think the longing for the union...
Penso che il desiderio per l’unità della Chiesa di Cristo venga dall’opera dello Spirito Santo piuttosto che dalla nostra. E’ un dono dello Spirito e quel desiderio è sempre più profondo e in crescita. Ma la diversità che esiste nel mondo si riflette sempre di più sulla Chiesa universale e diventa sempre più arduo superare gli ostacoli. Il pericolo è quello di finire in una sorta di minestra, dove tutto è sdolcinato. Dall’altro lato, impariamo però cosa sia amarci l’un altro nella diversità, mantenendo tuttavia l’unico Signore Gesù Cristo al centro della nostra vita e di cui noi siamo discepoli.

D. – Lei ha detto recentemente che i disaccordi principali non riguardano i dogmi e la dottrina…

R. – We exist in different Church communities…
Viviamo in diverse comunità della Chiesa nel mondo e più andiamo avanti, più le nostre diverse comunità integrano le loro organizzazioni e si radicano. Alcune di loro hanno radici profonde di secoli: questo non aiuta a “ri-immaginare” cosa significhi assomigliare alla Chiesa e rinunciare ad alcune delle cose che ci danno il nostro senso dell’appartenenza alla causa di Cristo. Ci sono tra noi differenze dottrinali e dogmatiche fondamentali ed estremamente importanti su cui dobbiamo lavorare - così come fa l’Arcic - e noi le trattiamo con grande serietà. Dobbiamo però essere sicuri di lavorare su di esse in un contesto di Chiese e comunità ecclesiali per le quali nessun sacrificio è troppo grande di fronte all’obbedire al richiamo di Cristo ad essere una cosa sola.

D. – Lei dovrebbe tornare a Roma l’anno prossimo. Dopo il suo incontro con Papa Francesco, lei aveva annunciato alcune iniziative interessanti: cosa ci può dire della preparazione di tale visita?

R. – God has given you and given us…
Dio ha dato a voi e a noi tutti un grande Papa: è un grande Papa delle sorprese. Penso che la gente si senta ispirata e confortata per quello che vede in Papa Francesco, così come lo sono io. Penso sia una persona meravigliosa. Sorprese? Sì, penso che ci saranno una sorpresa o due ... Speriamo di presentare qualche sorpresa... Ma, non posso assolutamente accennarle quali possano essere!

D. – In occasione della sua visita in Asia, lei ha visitato anche il Giappone e Hong Kong. Come vede il ruolo delle Chiese della minoranza cristiana in questa regione?

R. – Christians are a very small minority in Asia...
I cristiani sono davvero una piccola minoranza in Asia. Le Chiese anglicane si presentano con alcune caratteristiche peculiari. La prima è il fatto di essere Chiese-ponte: costruiscono ponti. La seconda è che si occupano dell’istruzione: ci sono 150 mila bambini ad Hong Kong educati nelle scuole della Chiesa anglicana. In Giappone, la Chiesa è profondamente impegnata con le comunità che sono state colpite dai disastri dello tsunami e di Fukushima e sta lavorando in modo meraviglioso al servizio di quelle persone che altri non riescono a raggiungere, rispondendo alle loro esigenze basilari. Quindi, una Chiesa povera per i poveri, e questo mi ha fatto molto piacere.

D. – Recentemente, ha dovuto occuparsi anche delle divisioni all’interno della sua comunità anglicana. In occasione del secondo incontro Gafcon (Global Anglican Future Conference), che si è svolto in Kenya, ha incontrato i leader dei vescovi tradizionalisti anglicani. Quanto è preoccupato per le profonde differenze all’interno del mondo anglicano?

R. – The trip to Kenya was wonderful...
Il viaggio in Kenya è stato meraviglioso. Sono andato principalmente per esprimere la mia solidarietà alla gente e alle Chiese del Kenya, in seguito all’attacco terroristico di Nairobi. Casualmente, è coinciso con l’inizio dell’incontro del Gafcon; ho incontrato i loro leader ed è stato un grande privilegio. Gli anglicani hanno sempre trattato i loro disaccordi molto apertamente, pubblicamente e ad alta voce. In gruppi come il Gafcon e con molti altri nella Chiesa anglicana mi piace incontrare molte prospettive differenti, che ci sollecitano in direzioni particolari e ci ricordano l’ampiezza e la profondità dell’impegno cristiano di cui abbiamo bisogno. Quindi, sono loro grato per avermi obbligato a riflettere: li ho ascoltati tutti.

D. – Riguardo alla questione delle donne vescovo, c’è ora una nuova proposta di normativa che sarà discussa al Sinodo generale di novembre. In che cosa si differenzia dal primo tentativo, fallito così drammaticamente, un anno fa?

R. – You’ll have seen the papers...
Lei avrà visto i documenti. Quello che abbiamo qui è una misura chiara e semplice che stabilisce alcuni principi di base su come noi operiamo come Chiesa, sostenuta dalla possibilità di rivolgersi ad un difensore civico, in modo tale che chi pensasse che non stiamo vivendo secondo i principi enunciati all’origine, possa fare ricorso. Vedremo se anche il Sinodo pensa che questa sia la giusta via da seguire. Io lo spero davvero, ed è più che ottimismo.







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