Esattamente vent’anni fa moriva Federico Fellini. Nato a Rimini nel 1920, è stato
autore di una lunga serie di capolavori, conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo.
Quattro gli Oscar vinti, l’ultimo dei quali - assegnatogli dall’Accademy Awards nel
1993 - è sicuramente il più prestigioso: quello alla carriera. Il servizio è di Salvatore
Sabatino:
Sono vent’anni
che Federico Fellini se n’è andato. Il suo modo onirico di guardare e raccontare il
mondo, invece, no; quello resta per sempre, così come resteranno per sempre i suoi
film. Poesie in immagini, capaci di trasportare chiunque in un mondo che era il suo
mondo, il suo modo di intenderlo. Fellini seppe raccontare il rigore, la semplicità
e l’umanità della provincia italiana, arricchendola di personaggi e luoghi al limite
della realtà. Quasi caricature di una quotidianità mai banale; quotidianità fatta
anche di malinconia, solitudine, inquietudine. Tutti aspetti di un’Italia divenuta,
anche grazie al maestro di Rimini, patrimonio del mondo.
"Amarcord", le "Notti
di Cabiria", La "Dolce Vita", "Otto e mezzo" sono solo alcuni dei suoi lavori. Difficile,
difficilissimo definire il suo capolavoro assoluto, perché tutti lo sono; perché tutti
sono unici, irripetibili, mai banali. E poi come tralasciare la sua spiritualità,
per lungo tempo criticata e avversata. La sua fede, anch’essa così semplice, genuina,
trasmessagli dalla madre, Ida Barbiani, che soffrì non poco per le critiche riservate
al figlio in ambito ecclesiale dopo l’uscita de “La dolce Vita”. Critiche che ferirono
profondamente anche lo stesso Federico Fellini, poi riabilitato grazie a padre Angelo
Arpa, critico cinematografico della rivista dei Gesuiti, Civiltà Cattolica. Angelo
Arpa, amico personale del regista, che conobbe la sua arte vivendola sui set, nelle
sale di montaggio, nelle riunioni delle produzioni, condividendo anche il cestino
del pranzo con troupe e figuranti. Una fede pura, quella di Fellini, riconosciuta
anche da Papa Francesco, che ha definito “La Strada” il film più bello e più francescano.
Sul
rapporto che Federico Fellini aveva con la fede Elvira Ragosta ha raccolto
la testimonianza di padre Virgilio Fantuzzi, critico cinematografico e amico
personale del regista:
R. – Federico
e Giulietta andavano a Messa la domenica nella parrocchia di San Giacomo, che era
la loro parrocchia a Roma. Giulietta faceva il servizio liturgico di leggere le Letture
durante la Messa. Ha risposto a qualche domanda, proprio negli ultimi tempi della
sua vita, dicendo che considerava Gesù come una buona strada, non soltanto per lui,
da seguire e da indicare anche ad altri. Nell’ultima malattia, tra i pochi libri che
aveva sul comodino, c’era anche il Libro dei Salmi e questo vuol dire che pregava.
Aveva un suo prete personale, di fiducia, che era il padre Arpa, con il quale si è
sempre confidato fino all’ultimo momento.
D. – Ci vuole raccontare il suo
personale ricordo di quel 31 ottobre del 1993?
R. – E’ stata una cosa strana,
perché io non ero a Roma: stavo con un gruppo di scout in un bosco, isolato dal mondo;
verso le 11.50 ho sentito una specie di mancamento e mi sono abbandonato su una brandina….
Il giorno dopo, accompagnando il capo scout che andava a fare le provviste, sono sceso
in paese, ho visto il giornale e ho saputo che Fellini era morto proprio in quel momento
in cui avevo avuto questa sensazione. Quando ne ho parlato con il padre Arpa, il suo
commento è stato questo: “Evidentemente eri unito con lui”.
D. – Nel 1960
l’uscita de “La dolce vita” pose il mondo cattolico contro Fellini: fu poi un suo
articolo su Civiltà Cattolica a riconoscere il retroterra cattolico del regista…
R.
– Il mondo cattolico fu diviso: alcuni erano contro Fellini e altri erano a favore.
Per dire, il padre Baraghi – il mio predecessore alla Civiltà Cattolica – era violentemente
contrario e ci furono degli interventi de “L’Osservatore Romano” particolarmente pesanti.
Io, all’epoca, ero un giovane scolastico, ero molto vicino al padre Arpa e pensavo
che i cattolici intransigenti avessero oltrepassato il segno e quindi quando – dopo
molto tempo – sono arrivato a Civiltà Cattolica ho cominciato, anch’io, ad occuparmi
di cinema e Fellini era ancora vivo, ho pensato che Fellini avesse diritto ad una
specie di risarcimento e ho cercato di fare del mio meglio per riequilibrare un po’
la situazione.
D. – Tra i capolavori di Fellini c’è anche “La strada”. Recentemente
Papa Francesco ha detto che è il film più bello e francescano. Cosa ci può dire sulla
spiritualità di questo film?
R. – Farei un piccolo passo indietro. Prima di
fare dei film in proprio, Fellini ha lavorato anche per una quantità di altri registi
e in particolare ha collaborato con Roberto Rossellini in un film che è un capolavoro
assoluto, si chiama “Francesco, giullare di Dio”. Quindi un po’ di spirito francescano
Fellini se lo portava: questo amore per le creature semplici, per i poveri, per la
natura Fellini se lo portava dietro anche da questa scuola. Io credo che una vena
di francescanesimo la si possa cogliere in tutto quel filone del cinema italiano di
quel periodo.