Mons. Carballo: puntare sulla formazione permanente per affrontare le crisi vocazionali
La cultura del provvisorio influisce anche sulle crisi vocazionali. Nel corso della
giornata di studio sull’argomento, organizzata martedì dall’Istituto Francescano di
Spiritualità, presso l’Università pontificia Antonianum di Roma, Elvira Ragosta
ha chiesto a mons. José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione
per gli Istituti di Vita Consacrata, quali sono le cifre e le motivazioni sulle crisi
spirituali dei religiosi:
R. - Quando
si parla della crisi nella vita consacrata e religiosa, di solito, si va immediatamente
ai numeri di abbandoni e si dimentica che nella vita consacrata la stragrande maggioranza
vive la fedeltà con molta radicalità. Io ne sono convinto e il lavoro, in questi mesi,
nella Congregazione mi ha convinto ancora di più che nella vita consacrata oggi c’è
molta “vita” e molta “consacrata”. Poi è vero che gli abbandoni sono preoccupanti;
così com’è vero che io non accetto che siano normali gli abbandoni, perché dopo tanti
anni di formazione non è normale che un giovane frate o una giovane suora dicano:
“Non mi va più questo. Lascio!”. Qui stiamo vedendo che le cifre sono significative:
stiamo parlando, più o meno, di tremila abbandoni all’anno. Questo è quello che passa
dalla nostra Congregazione di vita consacrata e quello che va alla Congregazione del
Clero.
D. - Lei ha analizzato anche i motivi fondamentali di queste crisi
che, poi, eventualmente portano all’abbandono?
R. - Dalla documentazione che
noi abbiamo risultano fondamentalmente tre motivi. Il primo è una crisi spirituale:
direi anche crisi di fede in molti casi. Per questo mi sembra importantissimo che
sia nella formazione permanente che in quella iniziale si rafforzi l’esperienza di
fede e si rafforzi anche il Primato di Dio. La seconda causa è la mancanza di appartenenza
affettiva - non giuridica - alla fraternità, alla provincia e all’istituto. Questo,
pian piano, porta in alcuni casi a cercare fuori quello che - dicono - non si trova
dentro e quindi anche all’abbandono. Il terzo motivo è affettivo: spesso noi pensiamo
che questo sia il primo motivo. E’ vero che molte crisi vocazionali finiscono nel
matrimonio, finiscono in altre scelte di vita, ma l’inizio della crisi è un altro.
D. - Questa cultura della provvisorietà finisce anche per avere un peso in
quelle che sono le vocazioni dei giovani. Come questo viene poi concretizzato nelle
diverse aree del mondo?
R. - L’influenza di questa cultura della provvisorietà
è diversa a secondo dei continenti e quindi influisce anche nella perseveranza. Devo
dire che, in base alla mia conoscenza, forse dove c’è più perseveranza è in Asia:
forse perché in Asia, dove la Chiesa è minoranza, ha un senso profondamente religioso
e quindi questo dà veramente un humus importante anche alla vita consacrata.
In America Latina, in questo momento, c’è un po’ di difficoltà: le vocazioni diminuiscono
e le uscite aumentano, lo stesso in Europa, mentre in Africa si mantengono i numeri:
non cresce tanto come sarebbe da aspettarsi, ma è normale, perché la fede cristiana
è recente in molti Paesi. Quindi, ancora non si pensa "in cristiano" sempre! Un altro
dato che veramente meraviglia un po’ è che negli Stati Uniti, dove abbiamo una cultura
molto secolarizzata e dove la Chiesa ha avuto una crisi forte, soprattutto dovuta
agli scandali di abusi sessuali, le vocazioni stanno crescendo: si attende, infatti,
che quest’anno vengano ordinati tanti sacerdoti, sia diocesani che religiosi. Quando
parliamo di vocazioni, quindi, dobbiamo tener conto che questo non è opera dell’uomo
e la fedeltà non è soltanto impegno dell’uomo: la fedeltà la dà Dio, l’uomo deve accoglierla.
Ecco la grande responsabilità!