2013-10-30 16:43:11

Mons. Carballo: puntare sulla formazione permanente per affrontare le crisi vocazionali


La cultura del provvisorio influisce anche sulle crisi vocazionali. Nel corso della giornata di studio sull’argomento, organizzata martedì dall’Istituto Francescano di Spiritualità, presso l’Università pontificia Antonianum di Roma, Elvira Ragosta ha chiesto a mons. José Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, quali sono le cifre e le motivazioni sulle crisi spirituali dei religiosi:RealAudioMP3

R. - Quando si parla della crisi nella vita consacrata e religiosa, di solito, si va immediatamente ai numeri di abbandoni e si dimentica che nella vita consacrata la stragrande maggioranza vive la fedeltà con molta radicalità. Io ne sono convinto e il lavoro, in questi mesi, nella Congregazione mi ha convinto ancora di più che nella vita consacrata oggi c’è molta “vita” e molta “consacrata”. Poi è vero che gli abbandoni sono preoccupanti; così com’è vero che io non accetto che siano normali gli abbandoni, perché dopo tanti anni di formazione non è normale che un giovane frate o una giovane suora dicano: “Non mi va più questo. Lascio!”. Qui stiamo vedendo che le cifre sono significative: stiamo parlando, più o meno, di tremila abbandoni all’anno. Questo è quello che passa dalla nostra Congregazione di vita consacrata e quello che va alla Congregazione del Clero.

D. - Lei ha analizzato anche i motivi fondamentali di queste crisi che, poi, eventualmente portano all’abbandono?

R. - Dalla documentazione che noi abbiamo risultano fondamentalmente tre motivi. Il primo è una crisi spirituale: direi anche crisi di fede in molti casi. Per questo mi sembra importantissimo che sia nella formazione permanente che in quella iniziale si rafforzi l’esperienza di fede e si rafforzi anche il Primato di Dio. La seconda causa è la mancanza di appartenenza affettiva - non giuridica - alla fraternità, alla provincia e all’istituto. Questo, pian piano, porta in alcuni casi a cercare fuori quello che - dicono - non si trova dentro e quindi anche all’abbandono. Il terzo motivo è affettivo: spesso noi pensiamo che questo sia il primo motivo. E’ vero che molte crisi vocazionali finiscono nel matrimonio, finiscono in altre scelte di vita, ma l’inizio della crisi è un altro.

D. - Questa cultura della provvisorietà finisce anche per avere un peso in quelle che sono le vocazioni dei giovani. Come questo viene poi concretizzato nelle diverse aree del mondo?

R. - L’influenza di questa cultura della provvisorietà è diversa a secondo dei continenti e quindi influisce anche nella perseveranza. Devo dire che, in base alla mia conoscenza, forse dove c’è più perseveranza è in Asia: forse perché in Asia, dove la Chiesa è minoranza, ha un senso profondamente religioso e quindi questo dà veramente un humus importante anche alla vita consacrata. In America Latina, in questo momento, c’è un po’ di difficoltà: le vocazioni diminuiscono e le uscite aumentano, lo stesso in Europa, mentre in Africa si mantengono i numeri: non cresce tanto come sarebbe da aspettarsi, ma è normale, perché la fede cristiana è recente in molti Paesi. Quindi, ancora non si pensa "in cristiano" sempre! Un altro dato che veramente meraviglia un po’ è che negli Stati Uniti, dove abbiamo una cultura molto secolarizzata e dove la Chiesa ha avuto una crisi forte, soprattutto dovuta agli scandali di abusi sessuali, le vocazioni stanno crescendo: si attende, infatti, che quest’anno vengano ordinati tanti sacerdoti, sia diocesani che religiosi. Quando parliamo di vocazioni, quindi, dobbiamo tener conto che questo non è opera dell’uomo e la fedeltà non è soltanto impegno dell’uomo: la fedeltà la dà Dio, l’uomo deve accoglierla. Ecco la grande responsabilità!

Ultimo aggiornamento: 31 ottobre







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