Scontri nel Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo
Nella Repubblica Democratica del Congo da diversi giorni le truppe governative combattono
contro i ribelli dell’M23 per il controllo della regione orientale del Nord Kivu.
Negli scontri ha perso la vita un soldato tanzaniano della missione Onu. L’M23 ha
tuttavia detto di voler tornare a sedersi ai negoziati di pace – interrotti lo scorso
21 ottobre – ma solo se ci sarà un cessate il fuoco immediato. Sulla difficile situazione
nella zona, che è tra le più ricche del Paese, Elvira Ragosta ha intervistato
Massimo Alberizzi, storico corrispondente del Corriere della Sera dall’Africa
e direttore del sito “africa-express.info”:
R. - La situazione
sul campo muta di minuto in minuto. Però c’è un fatto nuovo: l’intervento di un nuovo
gruppo ribelle, che combatte contro i governativi. Si chiama “Milizia patriottica
di resistenza dell’Ituri. Non si sa bene né la consistenza numerica né la forza; si
sa solo che stanno combattendo, anche loro, contro i governativi.
D. - L’M23
pone il cessate-il-fuoco come condizione per tornare ai colloqui di pace. Secondo
lei, questa è un’apertura?
R. - Io credo che loro non abbiano intenzione di
opporsi fino in fondo, perché i governativi sono più forti, sono appoggiati dalle
Nazioni Unite, che hanno elicotteri, aerei… Quindi, ovviamente, sanno di perdere e,
in qualche modo, cercano di negoziare.
D. - A proposito della missione Onu,
che in questi giorni ha perso sul campo un soldato tanzaniano, secondo lei è una missione
che può velocizzare la pace?
R. - Di solito, le truppe delle missioni di pace
non combattono con una certa - diciamo - serietà: nel senso che non è roba loro, non
hanno interessi… Quindi è anche probabile che questa morte rafforzi la paura nei soldati
della missione di pace e che comprometta anche la loro forza militare. Qualche settimana
fa avevano preso loro le redini dell’attacco all’M23; adesso, invece, le redini ce
le hanno i governativi, i quali - anche loro - non brillano certo per coraggio!
D.
- Nella città di Kibumga, 25 chilometri a nord di Goma, sarebbero state scoperte due
fosse comuni…
R. - Lì sono in guerra dal ’94 e quindi bisogna vedere a chi
appartengono, quanto sono vecchie e chi soprattutto le ha provocate. E’ un territorio
che è passato di mano diverse volte, da parecchi gruppi militari.
D. - Gli
scontri di questi giorni si svolgono nella regione del Nord Kivu. Siamo al confine
con il Rwanda e l’Uganda e ci sono state le accuse dell’Onu nei confronti di questi
due Paesi di sostenere l’M23. Potrebbe cambiare lo scenario nei prossimi giorni o
nei prossimi mesi?
R. - Io non credo perché le accuse sono state sempre respinte.
Io stesso ho visto che i confini sono permeabili ai ribelli che vanno e vengono. Questo
per quanto riguarda l’Uganda. Per quanto riguarda il Rwanda, è vero che c’è un appoggio
rwandese ai ribelli: loro lo giustificano dicendo che i tutsi, gli stessi abitanti
di quelle zone di origine rwandese, sono minacciati di genocidio e quindi, in qualche
modo, devono essere difesi, anche se negano un appoggio attivo ai ribelli, in questo
caso agli M23. Gli interessi sono vari: ci sono interessi minerari fortissimi. Ma
attenzione però: non ci sono solo il Congo, il Rwanda e l’Uganda. Dietro al Congo,
al Rwanda e all’Uganda ci sono i veri burattinai, quelli che muovono le redini, quelli
che poi sfruttano i minerali e comunque se l’importano nei loro Paesi. Stati che non
sono solamente quelli che noi conosciamo - l’Europa, l’America - ma ci sono anche
i Paesi dell’ex Unione Sovietica, che sono fortissimi da quelle parti. Il Kazakhstan,
per esempio, ha degli interessi fortissimi anche sull’uranio. Il Congo così non può
andare avanti! Deve essere spartito almeno in tre o quattro sezioni, se vogliamo tentare
una pacificazione. Credo che sia - io lo chiamo - il cinismo della diplomazia, che
si ostina ad avere un Paese unico, dove la gente dell’est e dell’ovest non parla la
stessa lingua, non ha la stessa religione, non mangia le stesse cose… Sono completamente
diversi! Anche il governo congolese che manda le truppe da quelle parta, mande delle
truppe che non sono assolutamente autoctone: gente che non parla la stessa lingua,
che è lo swahili, ma parla l’Ingala, che è lingua che si parla ad ovest. Molto spesso
sono vissute quindi come truppe di occupazione, più che come truppe nazionali.