Federculture: rilanciare la cultura nel Mezzogiorno italiano, ne va dell'identità
italiana
Cresce il numero dei visitatori di musei e siti archeologici italiani, ma non al
Sud, dove invece diminuisce, seppur di poco. Il Mezzogiorno, inoltre, è in testa per
dispersione scolastica, nonostante la spesa pubblica per istruzione e formazione sia
superiore alla media italiana. Sono alcuni dati forniti da uno studio di Federculture,
presentati ieri nell’Università di Bari nel corso di un convegno "Cultura e Mezzogiorno",
alla presenza del capo dello Stato, Napolitano. Le rilevazioni, che però non tengono
conto della Sicilia, stabiliscono che nel Sud Italia, che al netto della Sicilia possiede
il 34% dei siti culturali statali, i fruitori dei beni storici sono calati dello 0,3%.
“Il Sud deve recuperare un ruolo, che sta perdendo, nello sviluppo generale del Paese”:
è stato il richiamo del presidente Napolitano. Francesca Sabatinelli ha intervistato
Roberto Grossi, presidente di Federculture:
R. – La cultura
è qualcosa di vivo, che sta vicino alla gente; è senso di appartenenza, di legalità,
se vogliamo anche il senso della vita. E’ l’identità delle persone, della famiglia
in una collettività. In questo, l’Italia e il Mezzogiorno sono arretrati perché i
monumenti ce li avevamo e li abbiamo oggi, allora cosa è cambiato? E’ cambiata la
partecipazione culturale. Le famiglie del Mezzogiorno investono sempre di meno, pur
avendo un’enormità di biblioteche, palazzi storici, monumenti, aree archeologiche,
il numero dei visitatori è bassissimo. E soprattutto, al di là del turismo, la partecipazione
dei cittadini alla cultura – parliamo della lettura di libri, di frequentazione di
teatri, di musei – è assolutamente ridotta. Quindi, le famiglie nel 2012 nel Mezzogiorno
investono molto meno della media nazionale e molto meno dell’Europa.
D. – Questo
dipende dalla crisi? E se sì, che cosa differenzia il Nord dal Sud?
R. – Innanzitutto,
un sistema di offerta di servizi culturali e di politiche pubbliche verso i cittadini,
perché la cultura è un diritto per i cittadini ma è anche un dovere dello Stato garantirla.
E quindi, la rete di organizzazione e gestione delle attività, anche educative per
i bimbi nelle nostre scuole, è assolutamente inadeguata, inferiore. Questo si vede
chiaramente dall’assenza della rete di imprese culturali nel Mezzogiorno. Abbiamo
i musei, ma ci vanno mille persone all’anno; pensiamo che i turisti stranieri nella
regione calabrese sono stati solamente 200 mila, nel 2012, e in Lombardia, 20 milioni!
L’1 per cento! Perché nel Mezzogiorno, per l’assenza di politiche e di lungimiranza,
c’è una rete di promozioni, di offerta culturale decisamente meno avanzata e più scarsa.
D.
– Questo in qualche modo, dunque, avvalora l’equazione “aree arretrate-culture arretrate”?
R.
– Sicuramente sì! Ma per questo noi abbiamo organizzato questa iniziativa dentro l’università.
Il punto è superare la visione e la retorica dei beni culturali del Paese e, invece,
affermare una visione della cultura che è viva, noi dobbiamo portarla nelle famiglie,
nei luoghi di lavoro, nei quartieri, partendo dall’educazione. E’ drammatico, per
esempio, il fatto che negli ultimi anni abbiamo quasi tolto l’insegnamento di Storia
dell’arte nei licei e l’insegnamento della Musica, ma questa è una questione di scelte,
come ci ha richiamato il presidente Napolitano. Quindi, il punto qual è? E’ che la
cultura va ricentrata sui cittadini, sulla qualità della vita, sul benessere sociale
e collettivo e sull’identità. Qui non si tratta di fare niente di straordinario, ma
di riprendere la vocazione naturale dell’Italia e del Mezzogiorno. Dobbiamo tornare
a centrare l’attenzione sul cittadino e sulle famiglie.
D. – E’ stato in qualche
modo individuato il periodo esatto in cui è incominciata la fase di declino; e oggi,
noi a cosa assistiamo? Ad un peggioramento o ci sono segnali di recupero?
R.
– La fase di declino è arrivata grazie alla brutta politica ormai da una decina d’anni,
basti pensare che l’investimento dello Stato in cultura nel 2012 è stato poco più
dello 0,20% di tutta la spesa dello Stato quando in Grecia, in pieno default, nello
stesso anno, è stato dello 0,50%. Quindi, abbiamo subito scelte miopi che hanno visto
la cultura quasi come un pericolo: questo è accaduto negli ultimi anni! Non c’è dubbio
che anche la crisi economica abbia fatto la differenza, nel senso che l’assenza di
politiche di tariffazione, l’offerta a favore dei cittadini, per esempio l’assenza
di politiche di defiscalizzazione della spesa nel settore, hanno allontanato e depotenziato
la produzione culturale. Quindi noi adesso dobbiamo decisamente invertire la rotta
e tornare ad essere un Paese che produce bellezza e cultura, non un Paese che si crogiola
in un grande patrimonio che gli viene dal passato. E questo, con una convinzione:
la cultura ci avvicina a noi stessi e ci rende individui che poi fanno parte di una
comunità. Perché la cultura crea identità e crea confronto, crea accoglienza. E per
questo, l’antidoto anche ai problemi della illegalità, della mancanza di senso della
vita può essere risolto investendo sulla conoscenza e sulla diffusione dei saperi.