Datagate. Pasqualetti: regole e trasparenza sugli interessi politici ed economici
della Rete
Datagate.
Pasqualetti: regole e trasparenza sugli interessi politici ed economici della Rete
Si allargano i confini del Datagate all’intero pianeta. Non solo Stati Uniti ma anche
Gran Bretagna e Russia - per quanto finora emerso - hanno operato spionaggio di massa.
Mosca avrebbe perfino regalato gadget truccati nell’ultimo G20. 35 i leader mondiali
controllati e centinaia di milioni i cittadini intercettati in Germania, Francia,
Spagna, Italia e chissà in quanti altri Paesi. E mentre le diplomazie cercano una
via d’uscita, emergono con evidenza contaminazioni tra poteri politici, economici
e mediali, questi in mano ad una decina di ‘supergrandi’ della Rete. Democrazie in
pericolo titolano alcuni giornali. Roberta Gisotti ha intervistato Fabio
Pasqualetti, esperto di nuove tecnologie, docente alla Pontificia Università Salesiana:
D. - Prof. Pasqualetti,
forse è un bene che questo scandalo sia scoppiato?
R. - Certamente sì! E’ importante,
proprio perché grazie a Snowden, in fin dei conti, si è avuta la prova di ciò che
si sapeva già, ma come capita sempre il potere tende a coprire i retroscena fin quando
non vengono scoperti e dove è evidente che gli interessi non erano solo contro il
terrorismo, ma sono interessi di natura economica, politica, sociale. Quindi questo
mette in allarme! Grazie proprio all’azione di questi chiamiamoli hacker, chiamiamoli
comunque persone che hanno voluto far conoscere questi retroscena, oggi abbiamo una
maggiore e meno naïf visione di quello che è tutta la rete e il potere che
ci sta dietro.
D. - Quali sono gli interessi specifici da parte del potere
politico e anche da parte del potere economico dietro questi spionaggi di massa?
R.
- C’è stato un periodo che erano prettamente e più marcatamente politici, oggi sappiamo
che sono interessi soprattutto di spionaggio industriale, quindi economico: sull’alimentazione,
sui trend, sul tipo di orientamento che i Paesi prendono a vari livelli. Per cui c’è
ovviamente dietro un interesse di che cosa? Del controllo! Noi sappiamo che il potere
si base sul controllo e avere certe informazioni e anche tutti questi metadati
è importante per decidere magari in anticipo. L’America, ad esempio, ha giocato molto
sul concetto di liberà dell’informazione e questo ha affascinato tantissimo: in realtà
sappiamo che questa libertà di informazione, che è giusto che ci sia, ha un prezzo
che a livello di internet si chiamano metadati, che vengono poi venduti a vari
soggetti sia di tipo commerciale oppure di tipo più oscuro, come i servizi segreti.
D. - Lo stesso presidente americano Obama ha ammesso: ‘sì è rotto il patto
cittadini-istituzioni’. E’ dunque venuto il momento di dare regole e limiti ai controlli
di massa, più in generale alla Rete?
R. - Certamente ci sarà bisogno di regolamento.
Però oltre ad essere in ritardo su una regolamentazione, il problema è un altro: la
pervasività degli oggetti che saranno usati, già adesso ma anche in futuro, permetterà
sempre a qualcuno di controllare e di raccogliere queste tracce. Adesso abbiamo in
mano gli smartphone, ma supponiamo che ci siano - e ci sono già - dispositivi sulle
auto per cui le assicurazioni iniziassero a pensare che chi è prudente può avere certi
sconti oppure agevolazioni; mentre invece chi va veloce o ha una guida azzardata,
verrà penalizzato. In futuro avremo scarpe e vestiti intelligenti, cosiddetti smart.
Tutti strumenti che, in pratica, vendono informazioni di noi stessi. Ora a questo
punto è immaginabile o è pensabile una legislazione che riuscirà a coprire tutto questo
oppure bisogna andare su ciò che è la trasparenza? Diciamo che lo Stato o i funzionari
pubblici sono proprio pubblici, perché dovrebbero dirci cosa fanno con i nostri dati;
invece il cittadino è privato, proprio perché dovrebbe essere protetto nella sua privacy.
Qui c’è in gioco la questione della privacy ed è una questione molto delicata.
D.
- Proprio per la complessità del tema, perché nessuno si occupa di definire allora
diritti e doveri comunicativi nell’era digitale? Negli altri campi delle scienze umane
questa ricerca e questa riflessione c’è stata…
R. - Sì, c’è stata! Il problema
un po’ parte dalla natura stessa di Internet, che già simbolicamente rappresentiamo
come una nuvola e quindi una nuvola è difficilmente marginabile, definibile, controllabile:
nel senso che è poi in continua espansione e movimento. Sappiamo però, ad esempio,
che tutti i metadati poi girano attraverso un certo numero di gestori che hanno queste
grandi sedi e megacomputer dove queste infromazioni vengono trattate. Allora si può
agire con regolamentazioni, ma credo che poi alla fine ci debba essere anche coscienza
politica di che tipo di mondo vogliamo costruire. C’è anche in questo momento una
fase in cui il cittadino è disposto a vendere e ad offrire i propri dati in cambio
di servizi. Bisogna vedere se questa è la strada da proseguire oppure prendere coscienza
che forse converrebbe pagare magari un servizio ed avere maggiore protezione.
D.
- Il realtà ai cittadini vengono in genere propinate una serie di prescrizioni per
tutelare la propria privacy, ma queste prescrizioni sono assolutamente di facciata…
R.
- Lo sono nel momento in cui, ad esempio, usi gmail o altri servizi sulla Rete, o
anche Facebook: di per sé ci sono algoritmi che potrebbero criptare tutto ciò che
noi mettiamo e impedire che sia quindi decifrato da altri. Il problema è che noi possiamo
avere tutti questi servizi proprio grazie al fatto che non vengono criptati e quindi
poi vengono venduti a terze parti, altrimenti non avremmo questi servizi oppure dovremmo
pagarli.
D. - Comunque da cittadini dovremmo sapere chi gestisce e controlla
tutti questi metadati…
R. - Assolutamente sì. La maggiore informazione
e quello che dicevo prima la trasparenza: ci dovrebbe essere un obbligo da parte di
tutti i gestori di dire chiaramente dove finiscono i nostri dati. Noi dovremmo essere
educati anche a leggere i famosi contratti di accettazione di licenza, che purtroppo
sono scritti spesso in maniera molto verbosa per tutelare tutte le possibili rivendicazioni,
in caratteri piccolissimi, e sono lunghissimi e quindi di solito scoraggiano l’utente,
il quale dice: “accetto”, “accetto”, “accetto”…. senza troppo pensarci su.
D.
- Forse i governi, invece di fare anche loro spionaggio di massa, dovrebbero dare
regole e controllare che non si eludano queste regole da parte, appunto, di questi
pochi gestori che hanno in mano tutti questi dati…
R. - Mi chiedo se avendo
coscienza di essere ormai su un pianeta, che è in fase critica per molti aspetti,
non si debba pensaread una collaborazione maggiore - anziché ad uno spionaggio
- e quindi ad una condivisione della Rete, come struttura di collaborazione e scambio.
Se noi anziché usarla - diciamo così - per sottrazione, con gente che va a prendere
e gestire dati, la usassimo invece come condivisione forse sarebbe anche più interessante.
Quindi anche una cultura dell’accoglienza dell’altro… Ovviamente questo implica anche
una redistribuzione delle ricchezze, del potere: nel senso che bisogna uscire da una
avidità economica che sta esasperando tutti!