Datagate. Letta convoca i servizi. Per l'esperto Pasqualetti si' a regole e trasparenza
La vicenda Datagate. Il premier Letta ha dato mandato al sottosegretario alla presidenza
del Consiglio con delega per la sicurezza, Marco Minniti, di convocare per domani,
alle 10.00, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica. Intanto
per il commissario Ue alla giustizia Viviane Reding è urgente che gli Usa facciano
qualcosa per ricostruire la fiducia. Roberta Gisotti ha intervistato Fabio
Pasqualetti, esperto di nuove tecnologie, docente alla Pontificia Università Salesiana:
D. - Prof. Pasqualetti,
forse è un bene che questo scandalo sia scoppiato?
R. - Certamente sì! E’ importante,
proprio perché grazie a Snowden, in fin dei conti, si è avuta la prova di ciò che
si sapeva già, ma come capita sempre il potere tende a coprire i retroscena fin quando
non vengono scoperti e dove è evidente che gli interessi non erano solo contro il
terrorismo, ma sono interessi di natura economica, politica, sociale. Quindi questo
mette in allarme! Grazie proprio all’azione di questi chiamiamoli hacker, chiamiamoli
comunque persone che hanno voluto far conoscere questi retroscena, oggi abbiamo una
maggiore e meno naïf visione di quello che è tutta la rete e il potere che ci sta
dietro.
D. - Quali sono gli interessi specifici da parte del potere politico
e anche da parte del potere economico dietro questi spionaggi di massa?
R.
- C’è stato un periodo che erano prettamente e più marcatamente politici, oggi sappiamo
che sono interessi soprattutto di spionaggio industriale, quindi economico: sull’alimentazione,
sui trend, sul tipo di orientamento che i Paesi prendono a vari livelli. Per cui c’è
ovviamente dietro un interesse di che cosa? Del controllo! Noi sappiamo che il potere
si base sul controllo e avere certe informazioni e anche tutti questi metadati è importante
per decidere magari in anticipo. L’America, ad esempio, ha giocato molto sul concetto
di liberà dell’informazione e questo ha affascinato tantissimo: in realtà sappiamo
che questa libertà di informazione, che è giusto che ci sia, ha un prezzo che a livello
di internet si chiamano metadati, che vengono poi venduti a vari soggetti sia di tipo
commerciale oppure di tipo più oscuro, come i servizi segreti.
D. - Lo stesso
presidente americano Obama ha ammesso: ‘sì è rotto il patto cittadini-istituzioni’.
E’ dunque venuto il momento di dare regole e limiti ai controlli di massa, più in
generale alla Rete?
R. - Certamente ci sarà bisogno di regolamento. Però oltre
ad essere in ritardo su una regolamentazione, il problema è un altro: la pervasività
degli oggetti che saranno usati, già adesso ma anche in futuro, permetterà sempre
a qualcuno di controllare e di raccogliere queste tracce. Adesso abbiamo in mano gli
smartphone, ma supponiamo che ci siano - e ci sono già - dispositivi sulle auto per
cui le assicurazioni iniziassero a pensare che chi è prudente può avere certi sconti
oppure agevolazioni; mentre invece chi va veloce o ha una guida azzardata, verrà penalizzato.
In futuro avremo scarpe e vestiti intelligenti, cosiddetti smart. Tutti strumenti
che, in pratica, vendono informazioni di noi stessi. Ora a questo punto è immaginabile
o è pensabile una legislazione che riuscirà a coprire tutto questo oppure bisogna
andare su ciò che è la trasparenza? Diciamo che lo Stato o i funzionari pubblici sono
proprio pubblici, perché dovrebbero dirci cosa fanno con i nostri dati; invece il
cittadino è privato, proprio perché dovrebbe essere protetto nella sua privacy. Qui
c’è in gioco la questione della privacy ed è una questione molto delicata.
D.
- Proprio per la complessità del tema, perché nessuno si occupa di definire allora
diritti e doveri comunicativi nell’era digitale? Negli altri campi delle scienze umane
questa ricerca e questa riflessione c’è stata…
R. - Sì, c’è stata! Il problema
un po’ parte dalla natura stessa di Internet, che già simbolicamente rappresentiamo
come una nuvola e quindi una nuvola è difficilmente marginabile, definibile, controllabile:
nel senso che è poi in continua espansione e movimento. Sappiamo però, ad esempio,
che tutti i metadati poi girano attraverso un certo numero di gestori che hanno queste
grandi sedi e megacomputer dove queste infromazioni vengono trattate. Allora si può
agire con regolamentazioni, ma credo che poi alla fine ci debba essere anche coscienza
politica di che tipo di mondo vogliamo costruire. C’è anche in questo momento una
fase in cui il cittadino è disposto a vendere e ad offrire i propri dati in cambio
di servizi. Bisogna vedere se questa è la strada da proseguire oppure prendere coscienza
che forse converrebbe pagare magari un servizio ed avere maggiore protezione.
D.
- Il realtà ai cittadini vengono in genere propinate una serie di prescrizioni per
tutelare la propria privacy, ma queste prescrizioni sono assolutamente di facciata…
R.
- Lo sono nel momento in cui, ad esempio, usi gmail o altri servizi sulla Rete, o
anche Facebook: di per sé ci sono algoritmi che potrebbero criptare tutto ciò che
noi mettiamo e impedire che sia quindi decifrato da altri. Il problema è che noi possiamo
avere tutti questi servizi proprio grazie al fatto che non vengono criptati e quindi
poi vengono venduti a terze parti, altrimenti non avremmo questi servizi oppure dovremmo
pagarli.
D. - Comunque da cittadini dovremmo sapere chi gestisce e controlla
tutti questi metadati…
R. - Assolutamente sì. La maggiore informazione e quello
che dicevo prima la trasparenza: ci dovrebbe essere un obbligo da parte di tutti i
gestori di dire chiaramente dove finiscono i nostri dati. Noi dovremmo essere educati
anche a leggere i famosi contratti di accettazione di licenza, che purtroppo sono
scritti spesso in maniera molto verbosa per tutelare tutte le possibili rivendicazioni,
in caratteri piccolissimi, e sono lunghissimi e quindi di solito scoraggiano l’utente,
il quale dice: “accetto”, “accetto”, “accetto”…. senza troppo pensarci su.
D.
- Forse i governi, invece di fare anche loro spionaggio di massa, dovrebbero dare
regole e controllare che non si eludano queste regole da parte, appunto, di questi
pochi gestori che hanno in mano tutti questi dati…
R. - Mi chiedo se avendo
coscienza di essere ormai su un pianeta, che è in fase critica per molti aspetti,
non si debba pensare ad una collaborazione maggiore - anziché ad uno spionaggio -
e quindi ad una condivisione della Rete, come struttura di collaborazione e scambio.
Se noi anziché usarla - diciamo così - per sottrazione, con gente che va a prendere
e gestire dati, la usassimo invece come condivisione forse sarebbe anche più interessante.
Quindi anche una cultura dell’accoglienza dell’altro… Ovviamente questo implica anche
una redistribuzione delle ricchezze, del potere: nel senso che bisogna uscire da una
avidità economica che sta esasperando tutti!