"Affondo", premiato il libro di Jean-Baptiste Sourou che racconta i viaggi della speranza
verso l'Italia
Continuano gli sbarchi di immigrati sulle coste siciliane e in particolare a Lampedusa.
A questa umanità disperata, in cerca di una vita migliore di quella che lasciano nei
loro Paesi, è dedicato il libro "Affondo", edito da San Paolo, del giornalista Jean-Baptiste
Sourou. Il libro, che ha vinto il premio International Journalism and Media Awards
2013, è stato presentato nella sala Marconi della nostra radio. Ascoltiamo l’autore
al microfono di Marina Tomarro:
R. - Il libro
nasce dal desiderio, prima di tutto, di capire qual è la realtà che spinge così tanti
africani a venire in Italia accettando la morte. Il libro nasce anche dal senso umano
che porto in me: vedere fratelli e sorelle africani morire in quel modo mi turba ...
anche perché lavorando su questa realtà per tanti anni ad un certo punto noti che
non cambia mai niente! Adesso bisogna prendere a cuore questa realtà ed affrontarla
fino in fondo con tutti i mezzi possibili. L’Africa, soprattutto, deve fare la sua
parte perché non può aspettare più di tanto.
D. – Cosa spinge questi uomini
e queste donne a lasciare l’Africa, le loro terre per affrontare un viaggio difficile
e spesso mortale per arrivare qui in Italia?
R. – C’è tanta disperazione in
queste persone. Sono spinti dalla povertà ma anche dalla mancanza del rispetto dei
diritti dell’uomo fa in modo che queste persone vivano senza speranza ed attraversino
il deserto, l’oceano ed andare incontro alla morte. Questo vuol dire che ci sono cose
vere e profonde alla base. Lampedusa per molti di loro è una porta verso altri Paesi
in Europa, per raggiungere parenti in Francia, Germania o proseguire. “Venite da noi
in Norvegia, in Francia - dicono i parenti - noi vi accoglieremo”. Poi muoiono. Questa
è una nuova realtà: magari all’inizio la gente partiva per raggiungere i parenti,
oppure persone che gli garantivano una sistemazione; adesso sono gli stessi parenti
che incoraggiano i loro fratelli, sorelle, cugini a venire, attraversare il Mediterraneo
e rischiare.
Per quelli che riescono ad approdare sulle coste della Sicilia
li aspetta la reclusione nei centri di identificazione ed espulsione. Loris de
Filippi presidente di Medici Senza Frontiere:
R. – La situazione è molto
complicata perché - indipendentemente dal fatto che era abbastanza facile immaginare
che un certo numero di persone arrivasse soprattutto dalla Siria, ma anche da Paesi
come Eritrea e Somalia - in realtà si è fatto molto poco. C’è stata una preparazione
molto superficiale e quindi i centri di accoglienza in Sicilia in questo momento danno
risposte, secondo me, non all’altezza di un Paese civile. Il problema secondo me più
importante è una visione di insieme del sistema di accoglienza: rivedere sicuramente
le politiche sui centri di identificazione ed espulsione credo sia necessario in questo
momento. Effettivamente è un fenomeno che deve essere assolutamente controllato e
vanno prese decisioni politiche importanti.
D. – Quali potrebbero essere le
alternative proprio a questi centri Cie?
R. – Cerchiamo di capire prima di
tutto quante di queste persone hanno la possibilità di richiedere asilo; nessuno gli
ha spiegato che hanno questa possibilità. Dopodiché, persone che non fanno reato di
tipo amministrativo, quelle che arrivano spinte dalla fame devono trovare un altro
tipo di risposta, probabilmente a livello europeo e non necessariamente italiana ma
che non può essere quella di un circuito perverso - come quello dei Cie. Non è possibile
per una persona arrivare fino ai 18 mesi di reclusione in un Cie, senza la possibilità
di trovare altre soluzioni se non quella di accettare un anno e mezzo dopo, un decreto
di espulsione che di fatto lo farà rimanere in Italia da clandestino, pronto per essere
recluso di nuovo per altri 18 mesi e così rimanere in questo circuito. Credo che un
Paese non debba prevedere questo ma altre possibilità.