Partiti divisi e in crisi di identità. Il politologo Bonini: elettori disorientati
Mondo politico in fibrillazione in Italia: venerdì scorso l’annuncio sulla chiusura
dell’esperienza del Pdl e il ritorno a Forza Italia. Azzerati tutti gli incarichi,
Silvio Berlusconi rompe con i filogovernativi del Popolo delle libertà evocando nuove
elezioni. Ma non è solo il centro-destra a vivere forti tensioni. Divisioni e crisi
coinvolgono in questo momento tutti i maggiori partiti. Adriana Masotti ne
ha parlato con Francesco Bonini, professore ordinario di storia delle istituzioni
politiche alla Lumsa di Roma, chiedendogli prima di tutto quale idea si sia fatta
di ciò che sta succedendo all’interno del Pdl:
R. – E’ difficile
farsi un’idea. Certamente, ci sono due opposte tendenze: la prima è quella di speculare
su una pulsione dell’elettorato, in questo momento, alla polarizzazione e quindi scommettere
sulla rottura. La seconda linea è quella di costruire un’aggregazione che sia in grado
di competere per il governo. E questa linea sarebbe contraria alla rottura. Credo
che di fronte alla difficoltà di articolare una proposta in positivo, Berlusconi stia
scegliendo il ridotto della protesta e quindi di "corazzare" una pattuglia più piccola
per cercare di intercettare quella diffusa protesta che esiste nell’elettorato italiano
e che in questo momento ha nel Movimento 5 Stelle il punto di riferimento più significativo
dal punto di vista dei numeri.
D. – Giorni fa, Mario Monti si è dimesso da
presidente di Scelta Civica, che ora sembra spaccarsi in due movimenti ed è in bilico
anche l’alleanza di Scelta Civica con l’Udc. Anche il Centro, dunque, è quanto mai
traballante?
R. – Scelta Civica è stata un’iniziativa di rassemblement,
cioè un’iniziativa tendente a unire, per un progetto di governo, anime diverse, storie
diverse, che adesso sembrano rivendicare ciascuno la propria identità. Ma credo che
il destino delle diverse componenti di Scelta Civica sarà poi determinato soprattutto
dall’evoluzione complessiva del quadro politico e dalla tendenza o meno ad una polarizzazione
degli schieramenti.
D. – Veniamo al Pd. In vista delle primarie, emergono le
differenze tra i candidati e non c’è pace neppure tra Grillo e i suoi parlamentari.
Insomma, il panorama politico italiano appare in grande fermento e molto frammentato.
Come interpretare questo fatto?
R. – L’interpretazione più semplice è la sottolineatura
della debolezza di tutti gli attori. E poi rispondere alla crisi è difficile, le risposte
sono quasi obbligate e quindi la politica deve inventarsi forme nuove e, in qualche
modo, artificiali di divisione e di dialettica. Quindi, io penso che nel breve periodo
le dinamiche di frammentazione continueranno. Quello che nascerà, il nuovo cioè, dipenderà
certamente molto dalle regole, in particolare dalle regole elettorali, ovvero dai
quadri istituzionali che pure in qualche modo si dovranno decidere. Ecco, questo redde
rationem, questa resa dei conti, si avvicina inesorabilmente.
D. – Ci
troviamo di fronte anche ad una crisi della forma “partito”?
R. – Certamente
la forma “partito”, che ancora molti hanno nell’immaginario, cioè quella novecentesca,
il partito di massa, è morta alla fine del XX secolo. Adesso, esiste quello che nella
scienza politica si chiama il “cartel party”, cioè un partito strutturato come federazione
d’interessi intorno ad una leadership fortemente legittimata dal punto di vista
della comunicazione. Tutti i partiti sono in qualche modo "presidenzializzati" e di
volta in volta questo vertice aggrega spezzoni di classe politica, spezzoni di interessi.
La forma “partito” quindi è in evoluzione e certamente questo duplice processo mette
in discussione la forma “partito” e disorienta gli elettori, soprattutto rende difficile
la partecipazione politica, accentuando quel senso di estraneità che molti oggi avvertono.
D.
– Visto che il governo sembra traballare di nuovo, si fa sempre più urgente la riforma
della legge elettorale e il presidente Napolitano ha fissato un termine, entro il
3 dicembre. Ce la faranno i partiti a trovare un accordo?
R. – E’ molto difficile,
perché i partiti hanno interessi diversi e coloro che vogliono andare al voto, vogliono
andarci con l’attuale legge elettorale. Certamente, però, se la Corte Costituzionale
si pronuncerà in qualche modo, ecco che allora si seguirà l’indicazione della stessa
Corte Costituzionale. Quindi la legge elettorale, per l’impossibilità da parte delle
forze politiche di conciliare i loro interessi, sarà scritta ancora una volta sotto
dettatura, così com’è accaduto 20 anni fa, quando la legge elettorale fu scritta sotto
la dettatura dei referendum.