Il grido degli immigrati eritrei a Roma: siamo venuti per condividere un pezzo di
pane con gli italiani
La drammatica realtà dell’immigrazione è stata al centro, venerdì scorso, del sit-in
di centinaia di eritrei a Piazza Montecitorio a Roma, in commemorazione dei 369
morti nei recenti naufragi di Lampedusa. Tanti i manifestanti provenienti da diverse
parti d'Italia, appartenenti a varie associazioni riunite nel coordinamento "Eritrea
democratica". In piazza, rappresentanti religiosi cristiani e musulmani, che hanno
recitato delle preghiere. Le voci di alcuni di loro, al microfono di Antonella
Palermo:
R. - Sono venuta
qua per proseguire i miei studi, però adesso che la situazione in Eritrea è cambiata
io non me la sento di rientrare. Lì la gente non dico che muore di fame ma quasi.
Vivono grazie alle rimesse dei loro parenti all’estero. Io stessa aiuto i miei familiari
in Eritrea.
R. - Le persone che sono arrivate qua non sono venute alla ricerca
dell’Eldorado ma di un posto di lavoro, di un pezzo di pane da condividere con gli
italiani. Questa manifestazione non vuole ricordare solo gli eritrei, gli etiopi o
i somali che sono morti in questa tragedia ma i “cadaveri del Mediterraneo”. Credo
sia arrivato il momento di aprire non solo un canale umanitario, ma al diritto sacrosanto
alle persone di spostarsi. Il reato di clandestinità è un reato che è stato inventato.
Va aperto a livello internazionale un tavolo in cui si ridiscuta la situazione del
Corno d’Africa.
R. - Sono qui anche a nome della mia associazione, per far
sapere a tutti che comunque noi del popolo eritreo stiamo ancora aspettando risposte
serie dallo Stato italiano. Vogliamo avere subito una risposta a proposito della questione
sul rimpatrio delle salme. Le mamme in Eritrea stanno ancora aspettando.