Accordo a Bruxelles: immigrazione emergenza Ue. A Roma commemorazione delle vittime
di Lampedusa
Le tragedie legate all’immigrazione non sono un’emergenza dei Paesi di frontiera,
ma di tutta l’Europa. E’ quanto affermato ieri a Bruxelles. I 28 hanno previsto il
rafforzamento di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere e si sono dati
appuntamento a dicembre, anche per discutere sul diritto d’asilo. Da Bruxelles,
Laura Serassio:
Al Vertice di
Bruxelles i leader europei hanno sancito, nero su bianco, che tragedie come quelle
di Lampedusa e il fenomeno dei flussi migratori riguardano tutta l’Unione. Cosa ne
sarà di questo principio, però, dipenderà solo dalle prossime tappe. La task force
per il Mediterraneo, attivata dai 28 pochi giorni dopo l’ultima strage di migranti,
ha iniziato a riflettere su come potenziare gli strumenti esistenti, e il suo rapporto
sarà sul tavolo dei leader a dicembre. A quel punto all’esame sarà l’aumento delle
risorse di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere, o per lo meno dei
suoi mezzi operativi, a cui fin d’ora si dice disponibile la Francia. Comunque, per
ora, un risultato soddisfacente perché non scontato, per il Premier italiano Enrico
Letta. I leader hanno poi specificato meglio la reazione allo scandalo Datagate emersa
già giovedì dopo la prima giornata di lavori: di fatto, non si pensa ad avviare un
dialogo tra Paesi membri e Stati Uniti, ma semplici discussioni bilaterali, insomma
ognuno per conto proprio – chi vorrà -direttamente col partner americano. Un equilibrio
diplomatico per preservare le relazioni transatlantiche, pur dicendo che lo spionaggio
è inaccettabile, ha riassunto il Premier finlandese Katainen, e soprattutto, come
ha aggiunto il suo omologo belga, Elio di Rupo, per non far salire la pressione inutilmente.
Il
Consiglio Italiano per i rifugiati parla di passo avanti dell’Ue sul fronte immigrazione,
ma esprime delusione per la mancanza di della creazione di un canale umanitario, come
i diritto d’asilo. Sull’azione comune dell’Europa, Fausta Speranza ha
intervistato Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento federativo europeo.
Ascoltiamo:
R. – Innanzitutto
diciamo: finalmente! Negli ultimi anni ci sono stati 20 mila morti e finalmente si
arriva a stabilire una road map sull’immigrazione. Certamente bisogna rafforzare le
strutture "Frontex" ed Eurosur. I governi devono uscire dalla miopia e rafforzare
nel concreto queste strutture. E poi, però, bisogna seguire delle politiche, simili
a quelle, per esempio, che facemmo con l’Albania, cioè degli accordi con i Paesi rivieraschi,
in modo tale da far sì che il problema venga risolto a monte, e non soltanto quando
i barconi sono nel Mediterraneo.
D. – Ci volevano i morti, purtroppo, per arrivare
a questo vertice...
R. – Ci volevano molti morti, purtroppo. Credo che i governi
abbiano mostrato in questo, non soltanto miopia, ma un’incapacità di visione, nel
governare questi problemi, assolutamente scandalosa.
D. – Adesso si dovrebbe
fare un passo in avanti, ma facciamo anche un po’ di storia. In passato, c’è stato
disinteresse ma ci sono stati anche dei tentativi di politiche sul Mediterraneo che
sono falliti...
R. – E’ dagli anni ’60 che l’Europa avvia delle politiche:
la prima era una politica mediterranea globale, poi rinnovata; poi gli accordi di
associazione; poi il partenariato con il Mediterraneo; poi l’Unione per il Mediterraneo.
Ma nulla di questo ha prodotto qualcosa di serio, anzi negli accordi che noi abbiamo
fatto, abbiamo guadagnato noi, ma non hanno guadagnato questi Paesi. Quando è scoppiata
la cosiddetta "Primavera Araba", la reazione dell’Europa globalmente è stata assolutamente
inadeguata e abbiamo quindi contribuito, in qualche modo, affinché queste primavere
si avviassero all’autunno e poi all’inverno. C’è da fare molto da questo punto di
vista. C’è da fare molto per aiutare i giovani, per esempio fare un "Erasmus" anche
con i Paesi del Mediterraneo; aiutare l’imprenditoria giovanile; aiutare una certa
mobilità regolare di questi giovani in Europa; non dare contributi ai governi ma piuttosto
alle organizzazioni della società civile; i partiti e i sindacati dovrebbero in qualche
modo rafforzare i loro legami con le realtà di questi Paesi, inserendosi nelle organizzazioni
di partito e sindacali di questi Paesi. Insomma, non c’è soltanto una responsabilità
di governi, ma c’è una responsabilità della società europea, che si deve fare carico
di relazioni diverse con i Paesi dall’altra parte del Mediterraneo.
D. – Quali
sono stati i punti di maggiore divisione dell’Europa sul Mediterraneo? Evidentemente
se non si è arrivati ad una politica comune è perché c’erano punti di vista diversi...
R.
– Primo motivo è che ciascun Paese ha ritenuto che la politica estera fosse un affare
esclusivamente nazionale. Ciascuno, quindi, ha gestito le relazioni di questi Paesi
soltanto in una dimensione nazionale e qualche volta anche post coloniale. In secondo
luogo, perché non abbiamo mai avuto una posizione chiara e netta comune sulla questione
del conflitto arabo-israeliano e quindi non abbiamo contribuito affinché si facessero
passi avanti da questo punto di vista. In terzo luogo, perché l’Europa, per molti
anni, ha dato la priorità ad una dimensione che era quella dell’Europa centrale ed
orientale, dimenticando la dimensione mediterranea. E, in quarto luogo, perché noi
stiamo trattando in maniera assolutamente inadeguata la questione dei negoziati con
la Turchia, che evidentemente, da questo punto di vista, è un Paese chiave, cerniera,
per le nostre relazioni con il Mediterraneo.
E la drammatica realtà dell’immigrazione
è stata al centro ieri dei sit-in di centinaia di eritrei a Piazza Montecitorio a
Roma, in commemorazione dei 369 morti nei recenti naufragi di Lampedusa. Tanti i
manifestanti provenienti da diverse parti d'Italia, appartenenti a varie associazioni
riunite nel coordinamento "Eritrea democratica". In piazza rappresentanti religiosi
cristiani e musulmani, che hanno recitato delle preghiere. Sentiamo le voci di alcuni
di loro, al microfono di Antonella Palermo:
Sono venuta
qua per proseguire i miei studi, però adesso che la situazione in Eritrea è cambiata
io non me la sento di rientrare. Lì la gente non dico che muore di fame ma quasi;
vivono grazie alle rimesse dei loro parenti all’estero. Io stessa aiuto i miei familiari
in Eritrea.
Le persone che sono arrivate qua non sono venute alla ricerca dell’Eldorado
ma di un posto di lavoro, di un pezzo di pane da condividere con gli italiani. Questa
manifestazione non vuole ricordare solo gli eritrei, gli etiopi, o i somali che sono
morti in questa tragedia ma i “cadaveri del Mediterraneo”. Credo che sia arrivato
il momento di aprire non solo un canale umanitario ma il diritto, sacro santo, delle
persone di spostarsi. Il reato di clandestinità è un reato che è stato inventato.
Va aperto a livello internazionale un tavolo in cui si ridiscuta la situazione del
Corno d’Africa.
Sono qui anche a nome della mia associazione per far sapere
a tutti che comunque noi del popolo eritreo stiamo ancora aspettando risposte serie
dallo Stato italiano. Vogliamo avere subito una risposta a proposito della questione
sul rimpatrio delle salme. Le mamme in Eritrea stanno ancora aspettando.