2013-10-26 08:30:38

Accordo a Bruxelles: immigrazione emergenza Ue. A Roma commemorazione delle vittime di Lampedusa


Le tragedie legate all’immigrazione non sono un’emergenza dei Paesi di frontiera, ma di tutta l’Europa. E’ quanto affermato ieri a Bruxelles. I 28 hanno previsto il rafforzamento di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere e si sono dati appuntamento a dicembre, anche per discutere sul diritto d’asilo. Da Bruxelles, Laura Serassio:RealAudioMP3

Al Vertice di Bruxelles i leader europei hanno sancito, nero su bianco, che tragedie come quelle di Lampedusa e il fenomeno dei flussi migratori riguardano tutta l’Unione. Cosa ne sarà di questo principio, però, dipenderà solo dalle prossime tappe. La task force per il Mediterraneo, attivata dai 28 pochi giorni dopo l’ultima strage di migranti, ha iniziato a riflettere su come potenziare gli strumenti esistenti, e il suo rapporto sarà sul tavolo dei leader a dicembre. A quel punto all’esame sarà l’aumento delle risorse di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere, o per lo meno dei suoi mezzi operativi, a cui fin d’ora si dice disponibile la Francia. Comunque, per ora, un risultato soddisfacente perché non scontato, per il Premier italiano Enrico Letta. I leader hanno poi specificato meglio la reazione allo scandalo Datagate emersa già giovedì dopo la prima giornata di lavori: di fatto, non si pensa ad avviare un dialogo tra Paesi membri e Stati Uniti, ma semplici discussioni bilaterali, insomma ognuno per conto proprio – chi vorrà -direttamente col partner americano. Un equilibrio diplomatico per preservare le relazioni transatlantiche, pur dicendo che lo spionaggio è inaccettabile, ha riassunto il Premier finlandese Katainen, e soprattutto, come ha aggiunto il suo omologo belga, Elio di Rupo, per non far salire la pressione inutilmente.

Il Consiglio Italiano per i rifugiati parla di passo avanti dell’Ue sul fronte immigrazione, ma esprime delusione per la mancanza di della creazione di un canale umanitario, come i diritto d’asilo. Sull’azione comune dell’Europa,
Fausta Speranza
ha intervistato Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento federativo europeo. Ascoltiamo:RealAudioMP3

R. – Innanzitutto diciamo: finalmente! Negli ultimi anni ci sono stati 20 mila morti e finalmente si arriva a stabilire una road map sull’immigrazione. Certamente bisogna rafforzare le strutture "Frontex" ed Eurosur. I governi devono uscire dalla miopia e rafforzare nel concreto queste strutture. E poi, però, bisogna seguire delle politiche, simili a quelle, per esempio, che facemmo con l’Albania, cioè degli accordi con i Paesi rivieraschi, in modo tale da far sì che il problema venga risolto a monte, e non soltanto quando i barconi sono nel Mediterraneo.

D. – Ci volevano i morti, purtroppo, per arrivare a questo vertice...

R. – Ci volevano molti morti, purtroppo. Credo che i governi abbiano mostrato in questo, non soltanto miopia, ma un’incapacità di visione, nel governare questi problemi, assolutamente scandalosa.

D. – Adesso si dovrebbe fare un passo in avanti, ma facciamo anche un po’ di storia. In passato, c’è stato disinteresse ma ci sono stati anche dei tentativi di politiche sul Mediterraneo che sono falliti...

R. – E’ dagli anni ’60 che l’Europa avvia delle politiche: la prima era una politica mediterranea globale, poi rinnovata; poi gli accordi di associazione; poi il partenariato con il Mediterraneo; poi l’Unione per il Mediterraneo. Ma nulla di questo ha prodotto qualcosa di serio, anzi negli accordi che noi abbiamo fatto, abbiamo guadagnato noi, ma non hanno guadagnato questi Paesi. Quando è scoppiata la cosiddetta "Primavera Araba", la reazione dell’Europa globalmente è stata assolutamente inadeguata e abbiamo quindi contribuito, in qualche modo, affinché queste primavere si avviassero all’autunno e poi all’inverno. C’è da fare molto da questo punto di vista. C’è da fare molto per aiutare i giovani, per esempio fare un "Erasmus" anche con i Paesi del Mediterraneo; aiutare l’imprenditoria giovanile; aiutare una certa mobilità regolare di questi giovani in Europa; non dare contributi ai governi ma piuttosto alle organizzazioni della società civile; i partiti e i sindacati dovrebbero in qualche modo rafforzare i loro legami con le realtà di questi Paesi, inserendosi nelle organizzazioni di partito e sindacali di questi Paesi. Insomma, non c’è soltanto una responsabilità di governi, ma c’è una responsabilità della società europea, che si deve fare carico di relazioni diverse con i Paesi dall’altra parte del Mediterraneo.

D. – Quali sono stati i punti di maggiore divisione dell’Europa sul Mediterraneo? Evidentemente se non si è arrivati ad una politica comune è perché c’erano punti di vista diversi...

R. – Primo motivo è che ciascun Paese ha ritenuto che la politica estera fosse un affare esclusivamente nazionale. Ciascuno, quindi, ha gestito le relazioni di questi Paesi soltanto in una dimensione nazionale e qualche volta anche post coloniale. In secondo luogo, perché non abbiamo mai avuto una posizione chiara e netta comune sulla questione del conflitto arabo-israeliano e quindi non abbiamo contribuito affinché si facessero passi avanti da questo punto di vista. In terzo luogo, perché l’Europa, per molti anni, ha dato la priorità ad una dimensione che era quella dell’Europa centrale ed orientale, dimenticando la dimensione mediterranea. E, in quarto luogo, perché noi stiamo trattando in maniera assolutamente inadeguata la questione dei negoziati con la Turchia, che evidentemente, da questo punto di vista, è un Paese chiave, cerniera, per le nostre relazioni con il Mediterraneo.

E la drammatica realtà dell’immigrazione è stata al centro ieri dei sit-in di centinaia di eritrei a Piazza Montecitorio a Roma, in commemorazione dei 369 morti nei recenti naufragi di Lampedusa. Tanti i manifestanti provenienti da diverse parti d'Italia, appartenenti a varie associazioni riunite nel coordinamento "Eritrea democratica". In piazza rappresentanti religiosi cristiani e musulmani, che hanno recitato delle preghiere. Sentiamo le voci di alcuni di loro, al microfono di Antonella Palermo:RealAudioMP3

Sono venuta qua per proseguire i miei studi, però adesso che la situazione in Eritrea è cambiata io non me la sento di rientrare. Lì la gente non dico che muore di fame ma quasi; vivono grazie alle rimesse dei loro parenti all’estero. Io stessa aiuto i miei familiari in Eritrea.

Le persone che sono arrivate qua non sono venute alla ricerca dell’Eldorado ma di un posto di lavoro, di un pezzo di pane da condividere con gli italiani. Questa manifestazione non vuole ricordare solo gli eritrei, gli etiopi, o i somali che sono morti in questa tragedia ma i “cadaveri del Mediterraneo”. Credo che sia arrivato il momento di aprire non solo un canale umanitario ma il diritto, sacro santo, delle persone di spostarsi. Il reato di clandestinità è un reato che è stato inventato. Va aperto a livello internazionale un tavolo in cui si ridiscuta la situazione del Corno d’Africa.

Sono qui anche a nome della mia associazione per far sapere a tutti che comunque noi del popolo eritreo stiamo ancora aspettando risposte serie dallo Stato italiano. Vogliamo avere subito una risposta a proposito della questione sul rimpatrio delle salme. Le mamme in Eritrea stanno ancora aspettando.







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