2013-10-23 14:58:50

Iraq: strage senza fine. Un esule: grandi interessi perché il Paese resti diviso


Non si arresta la violenza in Iraq. Due kamikaze hanno colpito due posti di controllo della polizia, nella città di Rutba, a 110 chilometri dal confine con la Siria. Un altro commando ha attaccato due postazioni della pubbllica sicurezza a Ramadi, capoluogo della provincia di Anbar, 26 le vittime complessive. 5.200 i morti dall’inizio dell’anno, oltre 500 nel solo mese di ottobre. Un drammatico bilancio di morte sostanzialmente ignorato dai media internazionali. Migliaia i profughi che dalla caduta di Saddam Hussein, nel 2003, hanno lasciato e lasciano il Paese, con loro l’80% dei cristiani. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Taofic Mustafa Jassim, esule iracheno, esperto dell’Area e ricercatore presso l’Università di Pisa in Relazioni internazionali e Diritti umani:RealAudioMP3

R. – E’ un massacro continuo. Dopo 10 anni dall’invasione e della caduta del regime di Saddam Hussein, ancora siamo punto e a capo. Non c’è un governo forte, è un Paese difficile da governare per il fatto della sua particolarità multietnica e multireligiosa, multipartitica. L’Iraq non ha trovato la pace.

D. – Si parla anche di una guerra interna tra sciiti e sunniti: è così, secondo lei?

R. – Certamente, all’occhio dell’opinione pubblica mondiale. In realtà, non è una guerra tra sciiti e sunniti: entrambi sono bersagli di questi attentati. Ora, la città di Rutba è la componente sunnita; il resto – Baghdad e altre città del Sud, per la maggior parte sono cittadini di fede sciita. Ma tutti i giorni noi sentiamo parlare di grandi attentati nelle moschee, nei centri urbani…

D. – Ma quindi, chi sono questi terroristi?

R. – Sono difficili da individuare: non è possibile credere che siano piccoli gruppi terroristici, perché questi grandi attentati quotidiani si ripetono da anni. Dal mio punto di vista, c’è una mente forte dietro a questi attentati, perché ha bisogno di grande logistica, di grandi preparazioni. Non è possibile che noi tutti i giorni sentiamo di decine di attentati di kamikaze: da dove viene tutto questo? E chi li prepara? E’ difficile dire chi sia dietro a questi. Sicuramente, grandi interessi internazionali, perché l’Iraq è un Paese ricchissimo di risorse naturali. Alla fine del 2013, quasi quattro milioni di barili di petrolio sono stati esportati quotidianamente. Qualche giorno fa, il ministro del Petrolio ha dichiarato che alla fine di questo decennio, nel 2020, sarà triplicata l’esportazione – vuol dire quasi 10 milioni di barili di petrolio. E ci sono grandi multinazionali e ovviamente è circondato da Paesi come l’Iran, come la Turchia, come la Siria oltre ai Paesi del Golfo… Sono in gioco grandi interessi internazionali e multinazionali.

D. – Ma, secondo lei, c’è qualcuno che ha interesse affinché l’Iraq resti diviso?

R. – Non c’è dubbio: più di un Paese.

D. – Qual è il vantaggio?

R. – E’ in qualche modo controllabile e le risorse naturali che ci sono possono essere meglio sfruttate.

D. – Ciò che accade in Iraq tendenzialmente rimane sotto silenzio, per quanto riguarda la stampa internazionale. Perché sta diventando una crisi dimenticata?

R. – Perché tutti gli occhi sono rivolti alla Siria, e per non spaventare le grandi multinazionali. Adesso, ci sono centinaia di grandi aziende petrolifere che stanno lavorando in Iraq e parlare dell’Iraq spaventa le multinazionali…

D. – Cioè, lei sta dicendo: se si parla troppo della guerra, alla fine si perdono gli investitori internazionali e quindi è meglio non parlarne?

R. – Secondo me, sì.

D. – Dunque, quanto però influisce anche la situazione siriana in Iraq?

R. – Sulla stampa irachena ho letto che al Qaeda ha minacciato di occupare provincie di Ramadi, al confine con la Siria, per cancellare il confine internazionale fra i due Paesi.

D. – A questo si aggiunge anche il fenomeno dei profughi. Da una parte, in questo momento c’è una fuoriuscita dal Paese siriano, ma anche dall’Iraq le persone fuggono, per quanto sta accadendo?

R. – E’ così, ora scappano dall’Iraq. Ora, anche moltissimi cristiani scappano dall’Iraq perché un Paese che prima della guerra aveva ufficialmente quasi un milione di cristiani che per secoli hanno vissuto lì, perché non c’erano stati problemi tra cristiani e musulmani di entrambe le tendenze – sunniti e sciiti. Ma dopo la caduta di Saddam Hussein, centinaia di migliaia di cristiani iracheni hanno abbandonato il Paese, insieme a molti musulmani. Ora, prima della guerra in Siria c’erano oltre un milione di iracheni solo in Siria; adesso, o tornano nel Paese d’origine dell’Iraq, o cercano di andare in altri Paesi. Allo stesso tempo ci sono anche i siriani che stanno scappando: si dice che in questo momento siano due milioni e mezzo i siriani fuori dal loro Paese, in Giordania, in Iraq, in Libano e in Turchia.

D. – Qual è il suo auspicio?

R. – Il mio auspicio è che la comunità internazionale prenda coscienza del fatto che questa tragedia deve finire. Deve intervenire per far cessare questo massacro, queste sofferenze sia in Siria, ovviamente, sia in Iraq: che favorisca un governo democratico – soprattutto – forte. Questo è il mio auspicio.







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