Ue e Letta convergono sull'immigrazione, in attesa del Consiglio Europeo del 24 e
25 ottobre
La tragedia di Lampedusa, con il suo carico di dolore e morte, entrerà nel Consiglio
d’Europa di giovedì e venerdì prossimi, 24 e 25 ottobre. Il premier italiano, Enrico
Letta, ha anticipato ieri davanti all’aula di Montecitorio, uno dei principali temi
sul tavolo di Bruxelles. Sull’immigrazione, ha detto Letta, il governo italiano non
accetterà compromessi al ribasso. Tra gli impegni: mettere in atto il programma Eurosur
(al quale è arrivato il via libera dai ministri degli esteri riuniti a Lussemburgo),
rafforzare Frontex, creare un piano di emergenza per la questione migratoria, nonché
avviare una cooperazione con i Paesi del Mediterraneo. Il piano Letta converge con
il nostro, ha successivamente garantito l’ufficio del commissario agli affari interni
Ue Cecilia Malmstrom. Oltre a quello dell’ immigrazione, tra i punti nell’agenda del
premier: la necessità del mercato unico delle telecomunicazioni, il salvataggio della
ricerca nonostante austerity e tagli e, soprattutto, l’urgenza di ricompensare i sacrifici.
Ma come arriva l’Italia a questo Consiglio d’Europa? Francesca Sabatinelli
lo ha chiesto a Giuseppe Di Taranto, ordinario di Storia dell’economia e dell’impresa
all’università Luiss di Roma:
R. – L’Italia
ci arriva sicuramente a testa alta, per un insieme di motivi: il primo è che noi siamo
usciti da una procedura di deficit eccessivo, e quindi ormai noi di fatto – debito
pubblico a parte – siamo tra i Paesi “virtuosi”. E poi a testa alta, anche perché
ormai si è capito che bisogna cambiare la politica europea e quantomeno affiancare
a quella del rigore anche la politica della crescita. E poi perché soprattutto – e
questo lo ha messo in luce anche Papa Francesco – noi ormai siamo il Paese nel quale
arrivano questi disperato, molti soggetti che chiedono asilo politico, e mi pare di
aver dato – come Italia – sicuramente un esempio molto costruttivo di come si possano
accogliere, e di civiltà nell’aiutare queste persone nei momenti di difficoltà.
D.
– Nel secondo semestre del 2014, l’Italia avrà la presidenza dell’Ue. Per il premier
Letta sarà l’occasione – così ha detto – per riuscire a gettare le basi per l’Europa
dei popoli. E’ un progetto troppo ambizioso, a suo giudizio?
R. – Il progetto
è troppo ambizioso perché l’Europa da tempo avrebbe dovuto divenire l’Europa dei popoli,
ma proprio il discorso sull’immigrazione mi pare che smentisca clamorosamente questa
affermazione. Vorrei ricordare due cose. La prima: quando l’Europa ha vinto il Premio
Nobel per la pace è stata criticata da tutti, dalle stesse personalità europee Vorrei
anche ricordare che, già con il governo Monti, 11 Paesi su 17 firmarono un documento
per la crescita, del quale si è mai più saputo nulla. La democrazia in Europa non
è ancora completa: è un processo che si sta sviluppando ma che non è ancora consolidato.
Noi abbiamo l’articolo 75 della Costituzione che ci vieta di fare referendum sui Trattati
internazionali, mentre nella maggior parte dei Paesi d’Europa si vota. Nulla abbiamo
fatto per cambiare questo articolo 75 che permetteva la massima espressione della
democrazia di noi cittadini italiani attraverso il referendum.
D. – Ma allora,
che futuro possono avere le parole di Letta quando parla della sua volontà di uscire
dalla crisi grazie ad una vera politica economica comune?
R. – Ma io spero
che Letta lo faccia! Guardi, io sono tra i firmatari anche di un manifesto, con altri
studiosi come Paolo Savona, Giorgio La Malfa ed altri, in cui noi abbiamo chiesto
di cambiare i Trattati europei perché, così come sono, agevolano soltanto alcune nazioni
– in particolare la Germania e le altre nazioni del Nord Europa – e, ahimè, svantaggiano
– e lo vediamo nei risultati – tutta l’Europa mediterranea. La verità è che quando
c’è una situazione in cui si registra una elevata asimmetria tra un Paese che ha un
reddito molto elevato a scapito degli altri, o questo Paese – che è la Germania –
trasferisce risorse ai Paesi più poveri, oppure si mette in moto un meccanismo per
cui la nazione più ricca diventa sempre più ricca e quelle più povere sempre più povere.
Mi pare che sia esattamente quello che sta succedendo in Europa. Io vorrei che ormai
lo stesso Letta sostituisse le parole ai fatti. Condivido pienamente l’opinione di
Letta, di far sentire il peso della nostra nazione; però, è arrivato il momento di
farlo sentire in modo chiaro, limpido e farlo sentire bene a tutti i Paesi che ormai
vogliono la crescita e non più il rigore.