58 ministri provinciali, in rappresentanza delle Conferenze linguistiche e territoriali
dell’Ufme, l’Unione dei Frati minori d’Europa, sono a Roma da domenica scorsa per
partecipare all’XI Assemblea generale dell’organizzazione. Ieri mattina mons. José
Rodriguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica, ha presieduto una concelebrazione eucaristica per
i partecipanti all’incontro nelle Grotte Vaticane. Al centro della settimana di lavori,
che raggruppa 45 Paesi del Vecchio Continente, la riflessione sull’Instrumentum
Laboris denominato “Progetto Europa”. Sul suo significato, sentiamo fr. Carlo
Serri, provinciale d’Abruzzo e presidente dell'Unione Frati minori d’Europa, al
microfono di Fabio Colagrande:
R. – Vuol dire
innanzitutto gettare uno sguardo alle proprie origini per comprendere la natura della
fede e dell’Europa; e poi, guardare verso il futuro per vedere in qual modo si possa
crescere, non soltanto nella dimensione della fede, nella dimensione religiosa, ma
più generalmente in una visione di umanesimo reale che sia liberante per le persone.
Non dobbiamo dimenticare che la cosiddetta “avventura francescana” è fiorita in armonia
con la genesi dell’Europa. Vivente ancora San Francesco, i frati partirono dall’Italia
e raggiunsero i luoghi strategici, i nodi della civiltà europea: Francia, Parigi,
Colonia… E quindi, si immersero profondamente, con la loro testimonianza di fede,
nei luoghi che erano fucina di cultura, di sapienza e anche di costruzione della realtà
politica.
D. – Quindi, il rapporto tra i Frati minori francescani e l’Europa
è un rapporto che ha radici storiche molto lontane…
R. – Radici antichissime
e, a mio avviso, sempre attuali. Perché, così come l’Europa medievale era esposta
al pericolo del nazionalismo, del frazionamento culturale, della contrapposizione,
della dittatura dell’economia, delle banche che in quel periodo incominciavano a diffondersi
dappertutto, così adesso vediamo che l’Europa è in una situazione pericolosa, a rischio…
C’è qualcuno che pensa ancora all’Europa come unità culturale, quella che una volta
era la Christianitas medievale. Ecco, questo oggi non c’è, perché assistiamo
a una frammentazione del pensiero: non c’è più un progetto unitario che voglia interpretare
la società e la civiltà. Non si può neanche parlare ingenuamente di una unità politica
istituzionale, perché assistiamo ancora oggi a un diffuso euroscetticismo, per cui
molti Paesi fanno riemergere l’individualismo e l’egoismo, e non vorrei che rimanesse
soltanto l’Europa finanziaria, l’Europa dell’euro, l’Europa delle banche. E anche
qui vediamo che la gente si sente smarrita dinanzi alle istituzioni, non si sente
rappresentata da coloro che gestiscono l’amministrazione: c’è quasi una spaccatura
fra il vivere delle famiglie, delle persone, e poi le grandi istituzioni europee che
dovrebbero mediare ma molto spesso non raggiungono il popolo. E allora, c’è un vuoto
che dobbiamo riempire, un vuoto di spirito, un vuoto di verità della persona.
D.
– Tenendo presenti anche le recenti parole del Papa ad Assisi – “la pace francescana
non è un sentimento sdolcinato” – quale dev’essere oggi la visione francescana del
continente europeo, con tutte le sue contraddizioni e le sue difficoltà?
R.
– Veda, la pace di cui parlava il Papa è la pace di Gesù Cristo è lo shalom
che dice Gesù ai suoi Apostoli dopo la risurrezione mostrando le sue piaghe: vuol
dire che è una pace che costa il sacrificio della propria vita. Allora, noi dobbiamo
creare un’Europa solidale in cui le persone capiscano che l’unità implica il sacrificio,
la rinuncia: io non posso aiutare nessuno senza rinunciare a qualcosa di mio. Quindi,
si tratta di ri-tradurre il vecchio egoismo statalistico ed economico in capacità
di solidarietà. Dobbiamo diventare un’unica vera casa europea. E lo saremo nel momento
in cui siamo capaci di armonizzare il nostro bene con quello degli altri …