“100 metri di corsa e di fede”. Il card. Ravasi: lo sport è come un esperanto dell'umanità
Nell’Anno della fede, il Pontificio Consiglio per la Cultura ha promosso ieri la Giornata
di Festa per lo Sport. Culmine dell’evento è stata l’iniziativa “100 metri di corsa
e di fede” in via della Conciliazione, con la partecipazione di 5 mila ragazzi
e personaggi del mondo dello sport, salutati dal Papa subito dopo l'Angelus in piazza
San Pietro. Sul rapporto tra sport e fede, Luca Collodi ha intervistato il
cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero della Cultura:
R. – Lo sport
è diventato come una sorta di esperanto della umanità: infatti, in tutti i Paesi,
sia pure nelle forme diversissime, esistono dei giochi, e il gioco – d’altra
parte – fa parte dell’essere uomini e donne, cioè è strutturale nella creatività della
persona.
D. – Quanto conta, oggi, lo sport nella testimonianza della fede?
R.
– Proprio perché lo sport è la rappresentazione della persona la quale non fa qualcosa
solo per interesse, è molto vicino alla componente della fede, la quale, come espressione
fondamentale, ha quella del gratuito. La fede non la si fa per ottenere qualcosa,
anche se si implorano le grazie, ma prima di tutto è per aderire a Dio, quindi è un’esperienza
d’amore. In questa luce possiamo dire che, allora, la fede potrebbe essere ininterrottamente
in dialogo con lo sport.
D. – Oggi lo sport è anche veicolo, però, di disagio
sociale: basta andare in una curva di uno stadio dove troviamo elementi che poco hanno
a che fare con l’espressione culturale dello sport e con i valori dello sport. Perché?
R.
– Proprio perché se lo sport è una componente, come il gioco, in genere, è una componente
strutturale della persona, bene o male tutti hanno un piccolo spazio in cui si esercitano
in qualche cosa di assolutamente libero; proprio per questo rappresenta anche l’umanità
nella sua realtà, nel suo realismo. Per il credente, lo diceva anche Pascal, senza
peccato originale, alla fine, non si spiega molto la persona nel suo limite fondamentale.
Per chi è laico possiamo dire che è semplicemente l’espressione dell’egoismo, della
brutalità, della brutalità gratuita ed è in questo senso che allora si spiega la curva
che degenera, che impazzisce quando ormai tutta la forza libera, esplosiva che ha
la creatura umana, la mente umana, la fantasia umana viene invece incendiata.
D.
– Chi è, secondo lei, oggi il tifoso?
R. – Il tifoso autentico dovrebbe essere
prima di tutto colui che anche nel piccolo, in qualche modo esercita lo sport, cioè
che lo considera non semplicemente come spettacolo ma anche come parte della sua esperienza.
Sia pure in piccolo. Ed è per questo che, sempre di più, si allargano le strutture
sportive anche per i ragazzi, in tutte le espressioni, e qui si pone il grave problema
dell’educatore sportivo che tante volte è assente.