Rosario missionario nel campus della Pontificia Università Urbaniana
Un rosario “a colori” a simboleggiare i cinque continenti e soprattutto per ricordare
che senza preghiera non esiste evangelizzazione. È questa la particolare coroncina
che è stata sgranata ieri pomeriggio nel campus della Pontificia Università Urbaniana,
dove è stato recitato il “Rosario missionario”. L’iniziativa è stata del dicastero
di Propaganda Fide ed ha visto la presenza, tra gli altri, del prefetto, il cardinale
Fernando Filoni. Il direttore dell’agenzia Fides, padre Vito del Prete, missionario
del Pime, spiega l’origine del “Rosario missionario” al microfono di Alessandro
De Carolis:
R. - Il “Rosario
missionario” ha una lunga storia, ma ha acquistato un momento veramente molto forte
e significativo in questo Anno della Fede, in cui si è voluta portare all’attenzione
del mondo cattolico la necessità della preghiera, perché normalmente, in questi ultimi
tempi, l’evangelizzazione è stata un po’ desacralizzata: nel senso che si è pensato
solamente alle opere sociali necessarie allo sviluppo, alla lotta per la dignità umana,
però ci si è accorti che senza la preghiera i nostri sforzi sono inutili. Allora il
cardinale Filoni, due anni fa, ha lanciato questa idea: perché noi non lanciamo una
campagna mondiale di preghiera per l’evangelizzazione e in maniera particolare il
“Rosario missionario”, che è interposto da cinque colori differenti che ricordano
i cinque continenti? Dobbiamo dire che moltissime diocesi e moltissime chiese nel
mondo hanno chiesto i rosari, che sono stati confezionati dalla Congregazione, e si
sono impegnati a pregare.
D. - Papa Francesco, dall’inizio del Pontificato,
ha orientato la bussola della missione della Chiesa verso una direzione precisa: le
periferie dell’umanità geografiche ed esistenziali. Come è stata accolta questa esigenza
da chi, come voi, sostiene il Papa nella diffusione del Vangelo?
R. - Questo
è un discorso che a noi ha fatto non solo piacere, ma ha dato coraggio ed entusiasmo,
perché la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli non si blocca e non ha -
diciamo - il suo focus nelle diocesi di antica cristianità, ma si spinge realmente
al di fuori della Chiesa. Questo è un po’ il nostro motto: ci spingiamo al di fuori
della Chiesa verso i non credenti, verso i più deboli della società, lì dove troviamo
realmente l’ingiustizia fatta, dove la dignità dell’uomo non è riconosciuta, dove
veramente il lume della fede non brilla ancora.
D. - Una delle periferie attuali
della Chiesa è certamente quella dove la Chiesa è piccola e spesso anche perseguitata,
questo avviene, per esempio, in Asia: questa è cronaca quasi quotidiana…
R.
- La questione della Chiesa in Asia è una questione veramente di una fede altissima,
coerente, che ci ricorda un po’ le prime cristianità. Non è solamente il Pakistan,
dove essere cristiani vuol dire essere in pericolo e rischiare anche la propria vita;
anche in India è la stessa cosa per il nuovo nazionalismo che sorge e il fondamentalismo
induista; in Myanmar - dove sono stato e dove ho lavorato - il cristianesimo, anche
lì, è una minoranza, ma una minoranza molto, molto impedita nelle sue manifestazioni.
Quindi le Chiese asiatiche, sotto quest’aspetto, sono alle frontiere.
D. -
Papa Francesco, con la sua consueta arguzia, sta esortando - da sette mesi - tutti
i cristiani a non essere cristiani - come dice lui - di vetrina, di pasticceria, ma
a sporcarsi le mani per il Vangelo. Da queste chiese di periferia, come quelle dell’Asia,
dove essere cristiani è un atto di coraggio, che messaggio viene a noi soprattutto
in Occidente, dove spesso invece questo coraggio lo abbiamo dimenticato?
R.
- Come dice il Papa Francesco: “Bisogna uscire fuori dalle sacrestie”. La Chiesa in
Europa, in Occidente, abbia la capacità di ascoltare gli indifesi, abbia la capacità
però di inserirsi dentro, di sporcarsi - come diceva Tonino Bello - e si metta il
grembiule e si metta a servizio: annunci la carità di Dio. Io credo che la gente,
anche i non credenti europei, siano disposti realmente poi a ripensare il senso della
propria vita, perché qui manchiamo di senso.