Mondiali, Bosnia ed Erzegovina. Mons. Sudar: bene, ma attenzione a facili entusiasmi
“Una notizia che difficilmente cambierà la complessa situazione del Paese”. Così mons.
Pero Sudar, ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di Sarajevo, commentando
l’ottimismo riportato da molte testate giornalistiche per la prima qualificazione
della Bosnia ed Erzegovina ai Mondiali di calcio che si svolgeranno del prossimo anno,
in Brasile. Per mons. Sudar, nel Paese, dilaniato dalla guerra degli anni Novanta,
e dove è in corso un articolato processo di integrazione tra serbi, bosniaci e croati,
è necessaria l’attenzione della comunità internazionale e rinegoziare gli Accordi
di Dayton, che misero fine alla guerra civile jugoslava. Massimiliano Menichetti
ha intervistato lo stesso mons. Pero Sudar:
R. – E’ una
cosa che sicuramente alla gente dà sollievo, però - nello stesso momento - molti sono
coscienti che questa classificazione ai mondiali è un fatto che non inciderà troppo,
purtroppo, su quella che è la nostra situazione sia economica, sia politica. E poi
anche il calcio a volte ci divide, perché purtroppo la nostra nazionale non del tutto
è una rappresentanza delle componenti della Bosnia ed Erzegovina.
D. – Chi
non è rappresentato?
R. – Mi riferisco a due popoli costituitivi, cioè a quello
croato e quello serbo. Purtroppo é cosi! Sicuramente lo sport, i mondiali sono un’occasione
per festeggiare e vedere qualcosa di positivo, però, questa qualificazione non è stata
festeggiata in tutte le parti della Bosnia ed Erzegovina: molti dicono: “Calma!, perché
non cambierà la situazione di questo Paese”.
D. – Un Paese dilaniato dai conflitti
degli anni ’90. Qual è la situazione oggi?
R. - Quasi di rassegnazione, perché
purtroppo la situazione politica non cambia in meglio. L’Accordo di Dayton è difficilmente
realizzabile in questo Paese. Non c’è lavoro, non c’è avvicinamento a questo processo
di integrazione nella Comunità Europea e la gente dispera. La gente vede come unica
speranza l’andare via. Questa è la contraddizione presente nell’euforia innescata
dalla qualificazione della nostra nazionale.
D. – Che cosa servirebbe?
R.
– La volontà di dire che Dayton è una realtà che impedisce la vera pace, la collaborazione
tra i popoli. Bisogna rivedere quest’accordo e creare uno Stato che possa funzionare
e dare speranza a tutti. Ogni volta, quando si parla di Dayton, c’è però qualcuno
che dice: “Dayton non si tocca!”. Ma mentre si continua a non toccare Dayton, la Bosnia
ed Erzegovina non ha la possibilità di uscire da questo circolo vizioso.
D.
– I cattolici sono diminuiti del 50% rispetto alla guerra…
R. – Purtroppo sì.
E poi non è solo questo il fatto negativo. Quello che è ancor più negativo è che coloro
che sono rimasti non hanno speranza. Sono rimasti maggiormente gli anziani, mentre
i giovani cercano di andar via in tutti i modi.
D. – Voi siete impegnati nel
dialogo cristiano-musulmano. C’è chi dice, però, che cresce il fondamentalismo. E’
così?
R. – Qui cresce l’estremismo dei poveri, prima di tutto, di quelli che
sono privi della speranza di vita. E quella è la cornice in cui crescono poi tutte
le tensioni e tutti i fondamentalismi. Non sono d’accordo che qui ci sia un unico
problema, che è quello del fondamentalismo islamico: non è vero.