2013-10-16 14:18:45

Iraq: sono quasi mezzo milione i civili morti tra il 2003 ed il 2011


Sono quasi mezzo milione i civili che hanno perso la vita in Iraq tra il 2003 e il 2011. Lo afferma uno studio condotto negli Stati Uniti, che eleva notevolmente la cifra dei 115mila morti civili calcolati da "Iraq Body Count", autorevole sito britannico che tiene conto dei dati forniti da ospedali, media, fonti governative e Ong. La cifra fornita dal nuovo studio, condotto da universitari statunitensi e canadesi in collaborazione col Ministero della sanità iracheno - riferisce l'agenzia AsiaNews - guarda non solo alle vittime provocate direttamente dal conflitto - compresi gli attentati - ma anche dai morti causati dalle conseguenze sociali seguite alla guerra, come, ad esempio, i problemi igienici. Ma un articolo che accompagna lo studio, Salman Rawaf, dell'Organizzazione Mondiale della Sanità avverte che i risultati della ricerca "sono segnati dall'incertezza". La ricerca, pubblicata da PLoS Medicine, è stata condotta tra gli abitanti di duemila centri di una ventina di regioni irachene ai quali sono state chieste le circostanze della morte delle persone del loro ambiente. Secondo tali dati, rapportati all'intero Paese, i cercatori stimano in 461mila gli iracheni deceduti tra marzo 2003 e la metà del 2011 per le violenze e le loro conseguenze. Combattimenti, attentati e omicidi sono la causa del 70% di tali morti, mentre il restante 30% va attribuito ai fattori indiretti conseguenti al conflitto. Nel 35% dei casi, gli intervistati attribuiscono la morte alle forze della coalizione e nel 32% ai gruppi di militanti. Quando non è la violenza a essere chiamata direttamente in causa, le cause dei decessi sono attribuite alle carenze del sistema sanitario, disastrato dalla guerra.

Sulla situazione attuale nel Paese del Golfo, Salvatore Sabatino ha intervistato don Renato Sacco, di Pax Christi: RealAudioMP3

R. – Paura, sconforto, mancanza di speranza: non si vedono vie di uscita. Credo che la gente che vive lì, dai contatti che ho, stia vivendo in questa situazione. In più, c’è anche la Siria vicino e questo basta per far capire il clima pesante, molto pesante, che si vive.

D. – Tutta questa situazione si ripercuote anche su quella che è l’attività del parlamento, che non ha più approvato provvedimenti di rilievo da anni, per quanto riguarda la sicurezza, la corruzione. C’è la mancanza di molti servizi, per cui tutto questo poi ricade sulla popolazione...

R. – Certo, i nostri amici, gli amici di Pax Christi che abbiamo lì, ci dicono che è in atto una lotta di potere. Il potere, quindi, si combatte sulla pelle dei più deboli. Certo, non so quale può essere il futuro. Io so che gli amici che abbiamo lì cercano di lavorare con la gente, ma anche con i responsabili, perché si trovi un accordo per il bene comune. Ma quando prevale la sete di potere, per di più "colorata" magari di religione, è un disastro.

D. – Questa sete di potere vede due protagonisti, i sunniti e gli sciiti, e l loro divisione sta assumendo le sembianze di una vera e propria guerra fratricida. Perché quest’odio così profondo?

R. – Confesso che anch’io non riesco a trovare delle risposte. Leggo i dati, il perché. Quando l’odio s’impadronisce del cuore delle persone, di chi ha delle responsabilità, si vede solo buio, si vede solo la distruzione e la vendetta. Ripeto: credo sia in gioco anche tutto un equilibrio della zona. L’Iran, la Siria, i profughi, Israele, la Palestina: tutto questo rischia di essere scombussolato e quindi per affermare la propria forza si ragiona con le bombe, con le esplosioni e si lavora anche molto sui kamikaze, colorando di religione un odio che non c’entra niente con la religione. Certo, il risultato è una tragedia, se si pensa che solo in questi primi giorni di ottobre, sono già centinaia le persone uccise.

D. – Che ruolo possono avere i cristiani in questa difficile normalizzazione, visto il ruolo che hanno sempre ricoperto nei decenni passati?

R. – Sicuramente, hanno un ruolo di pacificazione, perché sono piccoli, sono deboli, non hanno armi, non hanno esercito e quindi pagano un conto molto alto, ma ricordano a tutti che solo la debolezza, la mitezza possono dare speranza a questo Paese. L’amico Patriarca, Louis Sako sta lavorando molto su questa strada del dialogo, del rispetto delle diversità, del capire che le diversità etniche, culturali e religiose possono essere la via di salvezza e la speranza per questo Paese, e non la cancellazione di queste diversità. E’ l’esatto contrario. Il Patriarca, nonostante questa situazione, ha mandato una lettera per chiedere che i cristiani rientrino, perché solo rientrando questa pluralità può essere forte. Vorrei anche aggiungere – è successo proprio alla fine di settembre – che non i cristiani, ma la minoranza di persone che vogliono la pace, hanno dato vita ad un Forum internazionale dei giovani, un Forum sociale in Iraq. Pensiamo a Baghdad: più di tremila partecipanti iscritti, giovani, in nome della pace, della non violenza, in quella situazione, senza servizi di sicurezza a confrontarsi sul problema delle minoranze, della libertà di espressione, dei diritti umani. Io credo che anche questi giovani, che hanno sfidato la paura, siano per noi un segno di speranza. E’ stato promosso dall’Associazione “Un Ponte per Baghdad” e credo che anche questi segni di speranza, di credenti e non credenti per la pace, siano un motivo su cui dobbiamo investire, altrimenti è una tragedia.












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