Lampedusa. Il parroco lascia l'isola: sentiamo vicino il cuore del Papa
Sul Mediterraneo continua ininterrotta la scia di imbarcazioni cariche di immigrati
dirette alla volta delle coste italiane. Anche la scorsa notte, Marina militare e
Guardia costiera hanno tratto in salvo circa 300 persone. Nel frattempo, si delinea
il bilancio dell’ultimo naufragio, quello di venerdì scorso, che le autorità maltesi
quantificano tra le 50 e le 200 vittime. A Lampedusa, intanto, lascia in questi giorni
il suo ufficio di parroco don Stefano Nastasi, testimone diretto negli ultimi
anni delle vicende che hanno visto l’isola al centro di numerosi drammi di immigrati.
Il sacerdote confida ad Antonella Palermo i sentimenti con i quali si appresta
a lasciare la sua comunità parrocchiale:
R. - Sicuramente,
c’è un po’ di amarezza, perché capisco che forse il momento era quello meno idoneo,
ma così come mi è stato chiesto anni fa di venire a servire questa comunità, ora mi
è stato richiesto di servire un’altra comunità. È con la stessa prontezza che ora
come oggi, e oggi come allora, ho dato la disponibilità al vescovo nella collaborazione.
D.
- Come si è congedato con i lampedusani?
R. - Ho detto loro che, più che portarli
nel mio cuore, lascio loro un pezzo di cuore, perché so quanto valore e quanto peso
abbia la solitudine e - per certi versi - anche l’isolamento della quotidianità dell’isola.
Ci sono due parole cardine che un po’ mi accompagnano in questo momento della partenza:
compassione e indignazione, nello stesso tempo. La compassione che traggo da immagini,
da gesti che insieme alla comunità abbiamo vissuto in questi anni, il soffrire, il
compatire del Vangelo, lo stare accanto all’altro. Se c’è una cosa che ci ha lasciato,
che ci ha insegnato tutta questa esperienza insieme, è il fatto che abbiamo potuto
guardare meglio le fragilità interne della comunità accogliendo e accompagnando le
fragilità del migrato o dei migranti. C’è, al tempo stesso, tanta indignazione nel
fatto che molte realtà di profondo dolore, come quelle che abbiamo visto nei giorni
passati, siamo convinti che non sarebbero dovute accadere. Tante parole, tante promesse,
tante visite sono state fatte qui sull’isola, però in realtà è cambiato poco o nulla
non solo in merito alla questione immigrazione, ma anche nella vita quotidiana dell’isola.
Se invece andiamo per ordine, dando risposte a problemi singoli, allora forse si,
quello può essere il momento della svolta. È un’occasione particolare, quella di questi
giorni, che un po’ si mischia con il grande dolore. Mi auguro che per l’isola sia
così.
D. - Ha avuto modo di incontrare l’elemosiniere di Papa Francesco che
è stato inviato proprio dal Santo Padre sull’isola per esprimere la solidarietà del
Pontefice e della Chiesa intera. Ci può riferire brevemente di questo incontro?
R.
- Sì, questo per noi è stato come un balsamo di consolazione, perché ci è stato accanto,
ha osservato, ha pregato con noi, ha accompagnato i sommozzatori nel momento e nelle
ore di recupero delle salme nel mare. È stata una testimonianza molto bella. La prima
sera, durante la celebrazione con la comunità, ci disse: “Il desiderio del Papa è
che le sue braccia siano prolungate dalla mia presenza”. E quando è ripartito gli
ho detto: “Dica al Papa che non abbiamo sentito soltanto le sue mani, le sue braccia.
Abbiamo sentito il suo cuore accanto al nostro.” E credo che questo, in questi momenti
di atroce sofferenza sia fondamentale per riprendere il cammino.