Al vertice dell'Unione Africana il rapporto con la Corte penale internazionale
Si è aperto ieri ad Addis Abeba il vertice straordinario dei capi di Stato e di governo
dei Paesi membri dell’Unione Africana (Ua) convocato per valutare i rapporti tra l’organismo
continentale e la Corte penale internazionale (Cpi). Il vertice, che si concluderà
oggi, dovrebbe fare emergere posizioni contrastanti già espresse nei mesi scorsi da
vari presidenti e governi africani. Su 54 Stati membri dell’Ua in 34 hanno ratificato
il Trattato di Roma, l’atto costitutivo della Cpi. Per formalizzare l’eventuale uscita
dalla Corte da parte dell’Ua, al voto sarà neccessaria una maggioranza dei due terzi
dei membri; nel caso contrario alcuni Paesi potrebbero scegliere di ritirarsi individualmente.
Ancora una volta il continente appare politicamente diviso sul futuro delle relazioni
tra l’Ua e la Corte con sede all’Aia, il cui procuratore generale è un’africana, la
giudice gambiana Fatou Bensouda. Il vertice è stato convocato mentre alla Cpi è in
corso da alcune settimane il processo a carico del vicepresidente keniano William
Ruto e quello del presidente Uhuru Kenyatta è programmato per il 12 novembre; entrambi
sono accusati di crimini contro l’umanità. A far crescere la tensione tra Nairobi
e l’Aia ha contribuito la vicenda della corruzione dei testimoni, di cui la Cpi ritiene
responsabile il giornalista keniano Walter Barasa e contro il quale è stato spiccato
un mandato di cattura internazionale. Alla vigilia del vertice il fronte dei Paesi
anti-Cpi ha fatto sentire a gran voce il suo rifiuto nei confronti dell’istituzione
giudiziaria accusata di “pregiudizio razziale” per aver incolpato finora una trentina
di personalità, tutte africane. Il parlamento di Nairobi ha già approvato una mozione
di ritiro dalla Cpi. Anche i presidenti di Uganda, Rwanda, Etiopia e Zimbabwe sarebbero
propensi a voltare le spalle alla Corte. Oltre ai casi di Kenyatta e Ruto, osservatori
ricordano che la “fronda” contro la Cpi risale al 2009, anno del mandato di cattura
a carico del presidente sudanese Omar Hassan al Beshir. Le tensioni sono nuovamente
cresciute a seguito del trasferimento all’Aia dell’ex-presidente ivoriano Laurent
Gbagbo nel novembre 2011. A scendere in campo a sostegno della Cpi sono stati l’ex
segretario generale dell’Onu Kofi Annan, l’arcivescovo emerito sudafricano Desmond
Tutu e oltre 130 organizzazioni della società civile di 34 Paesi africani che hanno
firmato una petizione in questo senso a nome della “lotta all’impunità”. Di recente
Botswana e Lesotho hanno ribadito il loro appoggio ai giudici dell’Aia. Anche Nigeria
e Ghana si sono detti favorevoli a mantenere l’adesione alla Cpi e potrebbero diventare
teste di ponte della fronda contraria al ritiro dai trattati internazionali. Difficilmente
faranno un passo indietro tutti quei Paesi che hanno presentato alla Cpi richiesta
perché indaghi su crimini commessi nei rispettivi territori, tra cui Costa d’Avorio,
Repubblica Centrafricana, Uganda, Mali e Repubblica democratica del Congo. Un secondo
punto è stato iscritto all’ordine del giorno del vertice straordinario di Addis Abeba:
l’elezione di un nuovo commissario per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana
dopo che quello attualmente in carica, l’algerino Ramtane Lamamra, è stato nominato
ministro degli Esteri nel suo Paese di origine. (R.P.)