La visita del card. Filoni in Sud Corea: una Chiesa giovane, viva e in crescita
E’ rientrato a Roma il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli, che si è recato in visita pastorale in Corea del
sud la settimana scorsa per la celebrazione del 50° anniversario della creazione della
diocesi di Suwon, eretta il 7 ottobre 1963 da Papa Paolo VI. Oltre a presiedere la
celebrazione giubilare, il porporato si è recato in visita di cortesia dal Presidente,
signora Park Geun-hye, e durante il suo soggiorno ha incontrato i vescovi della Conferenza
episcopale sudcoreana, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi ed i
laici. Inoltre si è recato al santuario di Chonjinam, il luogo natale della Chiesa
cattolica in Corea ed al santuario dei martiri di Choltusan. La Chiesa sudcoreana
è in forte crescita passando in 50 anni, da dopo il Concilio, dall’1,1% al 10,2%.
Così spiega questa crescita al microfono di Roberto Piermarini lo stesso cardinale
Filoni:
R. - Direi che
sostanzialmente potrebbero essere tre i motivi fondamentali. Prima di tutto, perché
la Chiesa coreana ha manifestato una vicinanza alla gente e una partecipazione molto
intensa alle necessità della gente. Non dimentichiamo che la popolazione usciva da
una guerra: quindi i problemi civili, i problemi spirituali e i problemi materiali
furono veramente gli aspetti su cui la Chiesa si concentrò, aiutando la gente e questo
le creò un grande credito. Il secondo aspetto direi che è la coscienza di non essere
una Chiesa imposta, una Chiesa che viene dal colonialismo, quindi una Chiesa che è
stata scelta per volontà degli stessi coreani: pensiamo che quando 200 anni fa il
Vangelo entrò in Corea furono cinque saggi laici che chiesero di conoscere meglio
il Vangelo e invitarono poi Propaganda Fide e la Santa Sede ad inviare i primi missionari.
Quindi questo primo nucleo di evangelizzazione è autoctono, è locale, ha molta venerazione
e molta comprensione da parte dei coreani a tutti i livelli. Il terzo elemento potrei
dire che è il martirio di tanti coreani - direi migliaia di coreani - che sono stati
coraggiosi anche nel tempo della persecuzione. Quindi coreani martiri, di cui già
un primo gruppo è stato canonizzato; c’è un secondo gruppo pronto e c’è poi l’avvio
per un terzo. Sono coreani che appartengono a tutte le categorie: ci sono intellettuali,
giovani, bambini, mamme, uomini, ricchi, poveri… Non c’è praticamente categoria che
non abbia avuto i suoi martiri e questo naturalmente ha lasciato una traccia e credo
che sia anche il seme un po’ della vita della Chiesa, dell’evangelizzazione e della
crescita.
D. - Cosa l’ha colpito di più della Chiesa coreana?
R. - Direi
intanto che è una Chiesa giovane: i sacerdoti sono giovani e sono un bel numero, come
i religiosi e le religiose. Molti giovani si avvicinano alla Chiesa e non solo per
una curiosità, ma credo anche perché vedono che questa Chiesa risponde alle loro attese,
alle loro esigenze, nonostante il secolarismo che anche lì imperversa a tutti i livelli.
Quindi giovinezza della Chiesa. Mi ha impressionato molto il senso della partecipazione
dei laici. I laici sono veri protagonisti. Diciamo che è una chiesa uscita dalla costola
del Vaticano II, quando si discutevano le questioni del ruolo dei laici e i laici
qui non solo storicamente - come ho detto prima - ma anche attualmente hanno un ruolo
molto importante. Direi anche poi il senso di grande comunione spirituale che hanno
con il Papa: più volte ne hanno parlato, anzi i coreani auspicano che il Santo Padre
possa fare una vista, magari in occasione della futura beatificazione di un nuovo
gruppo di martiri.
D. - Che risonanza sta avendo in Corea del Sud il pontificato
di Papa Francesco?
R. - E’ molto seguito e direi non per una curiosità, ma
perché sentono che nel Papa c’è quella freschezza che fa parte anche un po’ della
loro vita. Credo che Papa Francesco, proprio per questo suo nuovo modo e stile di
essere e di impostare la Chiesa, susciti una viva attenzione da parte anche dei nostri
vescovi: qui siamo in una società - diciamo - strutturata nel senso confuciano, quindi
il bisogno anche di avere una risposta un po’ meno formale è molto più essenziale
alla vita della Chiesa, all’evangelizzazione e anche nelle relazioni.
D. -
La chiesa sudcoreana come vive la divisione con i fratelli della Nord Corea? R.
- La questione della Corea del Nord è sempre aperta! La divisione è vissuta quasi
- potremmo dire - come un fatto contro natura della nazione coreana: la nazione coreana
si sente unita! Non dimentichiamo che una volta nella Corea del Nord c’era una comunità
cattolica molto, molto ampia e alcuni dicono anche più numerosa di quella del Sud.
Molti di questi hanno poi trovato rifugio nel Sud; hanno anche parenti, hanno amici;
hanno lasciato tracce della loro vita passata. Quindi è una ferita aperta, che vivono
anche con speranza e che vivono anche come disponibilità: se un giorno si aprissero,
loro sono pronti ad aiutare.