2013-10-08 15:44:12

Myanmar: liberati 56 prigionieri politici, prosegue processo di pacificazione


In Myanmar, prosegue il processo di pacificazione interna. Sono stati, infatti, liberati 56 prigionieri politici. Si tratta di un ulteriore passo verso la scarcerazione di tutti i dissidenti entro la fine dell'anno, così come annunciato dal presidente Thein Sein. Tuttavia diverse sono ancora le proteste negli ambienti dell’opposizione, guidata da Aung San Suu Kyi, e delle minoranze etniche, che lamentano come le autorità continuino a perseguire le opposizioni. Sulla situazione nell’ex Birmania, Giancarlo La Vella ha intervistato il prof. Giuseppe Gabusi, docente di Relazioni Internazionali dell’Asia orientale all’Università Cattolica di Milano: RealAudioMP3

R. – Non parlerei di un processo sicuramente irreversibile. Siamo certamente in presenza di un grande fermento democratico, di un’apertura del Paese che soltanto due-tre anni fa sarebbe stata assolutamente inimmaginabile: e va aiutata, la Birmania, a perseguire questo processo, ricordando però che un possibile colpo di Stato da parte di qualche fazione all’interno dell’esercito, contraria a questo tipo di riforme, è sempre possibile.

D. – Attualmente, l’opposizione è entrata in Parlamento. Da questo confronto tra l’opposizione, che vorrebbe un processo più veloce, e il governo, possono sorgere problemi?

R. – Certamente c’è un ruolo di Aung San Suu Kyi che dev’essere svolto nel migliore dei modi; Aung San Suu Kyi è chiaramente un’icona per la Birmania e tuttavia Aung San Suu Kyi oggi è in una posizione più debole, perché oggi è criticata spesso all’interno del proprio movimento perché è scesa a patti con il regime, ma è anche criticata dalle altre etnie che compongono il composito panorama delle popolazioni della Birmania, che l’accusano di essere fondamentalmente una birmana che quindi non conosce la realtà di queste etnie che popolano anche i confini montagnosi della Birmania. Questi prigionieri sembra che appartengano in realtà alle milizie dello Stato Shan e dell’etnia Kachin. Quindi, anche il rilascio di questi dissidenti ci mostra come la questione etnica e la questione democratica siano tra loro correlate.

D. – Quali potenze estere guardano a questo processo in corso in Myanmar?

R. – Un po’ tutte. Certamente la Cina, che ha investito pesantemente negli ultimi anni: è di fatto l’unico grande Paese che avrebbe potuto investire nel Myanmar. Ma l’investimento cinese è crollato dai 12 miliardi di dollari dal 2008 al 2011, ai 407 milioni di dollari nell’anno 2012-2013. C’è un interesse, ovviamente, degli europei, degli Stati Uniti; c’è "il ritorno" dei giapponesi e anche del Sudest asiatico: ci sono investimenti thailandesi, malesi nel turismo, nel tessile – c’è un interesse, chiaramente, verso la manodopera a basso costo. Ma non dobbiamo dimenticare il grande legame di Aung San Suu Kyi e di una parte dell’élite birmana con l’Occidente, in particolare con il Regno Unito. Quindi, anche l’Occidente avrà un suo ruolo da svolgere, permettendo che il Myanmar eviti grandi problemi che invece altri Paesi dell’Asia hanno incontrato durante lo sviluppo, ad incominciare dall’inquinamento e dallo sfruttamento delle risorse. E magari, il Myanmar potrebbe essere un nuovo esempio di uno sviluppo più attento della dimensione umana nell’area.







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