Timore diffuso sulla riservatezza nel web. Il garante: serve cultura della privacy
Timorosi dei rischi per la riservatezza che derivano da Internet e dai social network,
ma poco attrezzati per affrontarli. È questo il ritratto degli italiani secondo l’ultima
ricerca del Censis, dedicata al “Valore della privacy nell’epoca della personalizzazione
dei media” e presentata a Roma. Il servizio di Davide Maggiore:
La tendenza
alla condivisione vince sulla riservatezza, grazie anche ai social network
e ai telefoni cellulari di ultima generazione, sempre in grado di connettersi alla
Rete. Ma più di otto italiani su dieci, allo stesso tempo, su Internet vorrebbero
non lasciare tracce per paura che i propri dati personali vengano diffusi. Vivono,
insomma, in una condizione paradossale, che Giuseppe Roma, direttore generale
del Censis, illustra così:
“E’ quasi un’apprensione, che però non porta
comportamenti conseguenti e cioè a una maggiore consapevolezza di cosa succeda nell'esporre
la propria persona, i propri dati, la propria famiglia, le proprie fotografie in Rete…
Il web è un grandissimo contenitore che in tempo reale e in modo diretto rende esplicite
informazioni che in altri periodi sarebbero rimaste nella riservatezza e quindi non
sarebbero così divulgati e condivisi in pubblico”.
Circa un italiano su
tre ha avuto conseguenze negative inserendo dati personali on line: per lo
più, si tratta di messaggi di posta elettronica da sconosciuti, o di pubblicità indesiderata,
ma c’è chi per proteggersi sarebbe disposto anche a pagare. La privacy, in Italia,"vale"
590 milioni di euro all’anno: è la cifra che gli utenti di Internet spenderebbero,
potenzialmente, per difendersi da intrusioni indesiderate. E in effetti, la grande
disponibilità di dati in Rete espone anche a rischi. Li elenca ancora Giuseppe Roma:
“Ci
sono i pericoli delle truffe, del furto d’identità, ma anche un pericolo di tipo valoriale:
cioè, i miei comportamenti, le mie opinioni, le mie scelte, sia commerciali, di acquisto
ma a quel punto, anche di vita, le mie opinioni politiche: c’è la possibilità che
siano in qualche modo controllate e orientate. I messaggi – certamente di tipo commerciale,
ma potrebbero essere anche di tipo politico-istituzionale, potrebbero essere di tipo
culturale – potrebbero essere indirizzati più in profondità, conoscendo i gusti e
le propensioni di ciascuno”.
Più del 53% dei cittadini, di conseguenza,
vorrebbe una normativa sulla privacy più severa e sanzioni efficaci per quanto
riguarda Internet. Su come difendere la propria riservatezza oggi, ascoltiamo Antonello
Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali:
“E’
un impegno massiccio che naturalmente richiede un cambiamento di atteggiamento da
parte della comunità delle persone che utilizzano gli strumenti della società digitale.
Ma occorre anche che gli Stati si facciano carico di un corso di governo: non possiamo
immaginare che la libertà di Internet venga sacrificata per le esigenze di controllo
dei governi, ma occorre avvertire che anche il cambiamento digitale può costituire
una minaccia. Si vince questa minaccia se si ha una cultura della privacy, che vuol
dire una cultura della libertà nella società digitale”.
Le istituzioni
e i singoli devono dunque muoversi in parallelo, conclude Soro:
“Non si
può delegare esclusivamente allo Stato la protezione dei dati personali: gli Stati
devono fare la loro parte, ma è fondamentale un processo di consapevolezza individuale
che porti a un uso responsabile di questi strumenti”.