2013-10-07 16:19:03

Strage Lampedusa: vittime quasi tutte eritree. L'esperto: punti di raccolta sicuri alla partenza


La drammatica vicenda di Lampedusa ha rivelato come la maggior parte dei migranti vittime del naufragio di giovedì scorso fosse di nazionalità eritrea. Si tratta di persone che fuggono da un Paese che, nonostante abbia raggiunto l’indipendenza da oltre 20 anni, non ha ancora trovato gli equilibri interni. Elvira Ragosta ne ha parlato con Alganesh Fessaha, membro eritreo della ong Gandhi, che si è recata a Lampedusa per incontrare i connazionali superstiti:RealAudioMP3

R. – Finora, le persone che abbiamo identificato sono tutte eritree.

D. – Tra i superstiti invece?

R. – Sono tutti eritrei.

D. – I numeri sono sconcertanti. Perché queste persone fuggono dall’Eritrea?

R. – Perché noi abbiamo un regime militare dittatoriale che va avanti da 20 anni: non ci sono elezioni, non c’è multipartitismo, non c’è lavoro ma c’è fame. Bisogna fare il servizio militare dall’età di 13 anni ai 54, con una paga di 25 dollari. Un giovane così non potrà mai avere una vita propria. Al governo eritreo non mancano i soldi ma questi vengono spesi per gli armamenti. Questo deve finire! Deve finire anche che i Paesi europei aiutino questo governo.

D. – Le notizie che arrivano dall’Eritrea parlano di cinque mila prigionieri politici, circa 70 mila rifugiati e di una situazione soprattutto nella zona di confine in cui le forze di polizia sparano…

R. – Io lavoro nel campo profughi in Etiopia. Adesso, siamo arrivati ad avere 89 mila profughi eritrei in questi quattro campi.

D. – Coloro che sono arrivati vivi a Lampedusa cosa le hanno raccontato? Come è stato il loro viaggio?

R. – Loro arrivano in Libia attraverso vari mediatori, anche eritrei. Nel corso del viaggio molti sono stati picchiati, alcune donne sono state anche violentate.

D. – Cosa potrebbe fare il governo eritreo per evitare questa fuga di massa?

R. - Il governo eritreo intanto, prima di prevenire la fuga di massa, deve cambiare. Adesso avanzeremo la richiesta, per queste 400 persone, di farle ritornare nel loro Paese e dar loro degna sepoltura. Abbiamo quindi bisogno di un nulla osta, ma il governo eritreo non lo farà. Questo è un grande dramma. In Eritrea, ci vuole un cambiamento, il governo innanzitutto deve togliere il servizio militare; deve poi dare la possibilità ai giovani di studiare; deve dare la libertà di stampa e di parole poi deve dare anche la possibilità di lavorare. Cosa serve fare il servizio militare per tutta la vita?

La tragedia di Lampedusa ha riaperto il dibattito sulla legge Bossi-Fini. Il ministro dell’integrazione, Cecile Kyenge, parla di molti punti da rivedere, di diverso avviso diversi esponenti di Pdl e Lega. Inoltre, polemiche nei giorni scorsi sono sorte dopo la notizia dell’incriminazione dei sopravvissuti per immigrazione clandestina. Antonella Palermo ha intervistato Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università Statale di Milano:RealAudioMP3

R. – Il reato di immigrazione clandestina è collegato alla politica europea, la stessa che ci ha obbligato ad aprire quelli che poi sono diventati i Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati clandestini (Cie). Il problema deriva dall’Europa, dalla politica in generale dei Paesi avanzati che cercano di “chiudere le porte”, di non accogliere non solo i migranti economici ma nemmeno i rifugiati.

D. – Secondo lei, all’indomani di questa tragedia, l’Europa cambierà atteggiamento sulla politica sulle migrazioni?

R. – Va detto che l’Europa, in realtà, accoglie molti più rifugiati dell’Italia, quanto meno l’Europa centrosettentrionale. In Italia, accogliamo circa un rifugiato ogni mille abitanti, la Germania ne accoglie sette, la Svezia nove e così via… Nell’ultimo anno, in Italia ci sono state 14 mila domande di asilo e 64 mila in Germania, quindi l’idea che l’Europa lasci gli italiani a gestire il problema degli arrivi è una rappresentazione provinciale della questione. Detto questo, l’Europa dovrebbe fare due cose. La prima: istituire punti di raccolta sicuri per le domande di asilo, il più vicino possibile ai luoghi dove hanno origine i flussi. Sappiamo che molti migranti arrivano da zone in guerra come l’Eritrea, la Somalia, ultimamente dalla Siria e dal Congo, quindi occorre evitare il più possibile rischiosi viaggi per mare. La seconda cosa che l’Europa dovrebbe fare – considerando che ha già stanziato grandi risorse per il sistema "Frontex" e pattuglia con navi, elicotteri ed aerei le sue frontiere, tra cui il Mediterraneo – è di utilizzare meglio queste risorse tecniche, finanziarie per soccorrere i migranti. Anche dal punto di vista della sicurezza, desta perplessità l’idea che non delle barche, ma addirittura dei pescherecci, possano arrivare fino alle nostre coste senza essere intercettati. O il sistema è inadeguato, oppure hanno fatto finta di non vederli.

D. – Secondo lei, c’è qualcosa di sbagliato nelle reazioni politiche e mediatiche in Italia a fronte di questo tragico avvenimento?

R. – Purtroppo, c’è un’ottica provinciale, e anche retorica, ad esempio l’idea che i rifugiati siano troppi, che ne arrivino numeri insostenibili. L’81% dei rifugiati del mondo trova asilo nei Paesi del Sud del mondo, il primo Paese per numero di rifugiati accolti è il Pakistan, il secondo è l’Iran. Quindi, questa idea che l’Italia è sotto invasione è sbagliata. Tra l’altro, dieci anni fa i rifugiati accolti nel Nord del mondo erano il 10% in più. Sta diminuendo la nostra volontà e disponibilità di accogliere, stanno funzionando le politiche che tendono a tener lontani i rifugiati dalle nostre coste. Altro errore di giudizio è questa insistita retorica sull’Europa che non aiuta l’Italia, che non condivide i carichi. Il giorno che l’Europa decidesse che si condividono i costi dell’accoglienza dei rifugiati noi ci accorgeremo di dover versare dei contributi per aiutare la Germania, la Svezia, l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia che accolgono numeri di rifugiati maggiori rispetto ai rifugiati che accogliamo noi, sia in termini assoluti, sia in proporzione alla loro popolazione.

D. – L’esodo continua. Qualche suggerimento proprio in questo frangente in cui bisogna intervenire su più fronti?

R. – Il primo è una cosa da non fare: dire che bisogna allearsi con i Paesi del Sud del Mediterraneo per impedire che partano. C’è un’ipocrisia che va denunciata: la verità è che noi non vogliamo che vengano a morire sotto i nostri occhi, sulle nostre belle spiagge. Se muoiono nel deserto, o nei campi di concentramento libici, o vessati dalle bande che padroneggiano in Paesi come la Libia, allora non ci interessa perché non avviene sotto i nostri occhi. Quindi, il problema non è chiedere agli stati rivieraschi del Sud del Mediterraneo di impedire le partenze, ma semmai di allearsi con loro, affinché i richiedenti asilo vengano accolti umanamente ed affinché le loro domande si possano vagliare rapidamente ed in modo serio per poter accogliere in Europa, o altrove, coloro che ne hanno diritto.







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