Siria, si smantellano le armi chimiche. Campanini: incognite sul futuro del Paese
Soddisfazione nella comunità internazionale, specie da parte di Stati Uniti e Russia,
per l’avvio in Siria delle operazioni di smantellamento dell’arsenale chimico, il
più grande del Medio Oriente e il quarto al mondo. A certificarlo sono gli ispettori
dell’Onu che, giunti martedì scorso a Damasco, hanno ottenuto dal presidente Assad
la lista dei siti con gli impianti per la produzione e i depositi di armi chimiche.
Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Massimo Campanini, docente
di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:
D. – Professor
Campanini, una buona notizia in assoluto o ci sono incognite da valutare? Ad esempio,
quale contropartita può avere chiesto Assad per questa – possiamo dire – "resa"?
R.
– Io non credo che sia necessario che Assad abbia voluto contropartite. Per come si
è svolta la crisi, e per come si è risolta, ha significato un irrobustimento e un
consolidamento di Assad, il quale ha trovato una sponda solida nella Russia, ha fatto
perdere la faccia a Obama e agli Stati Uniti, e poi è stato riconosciuto come un interlocutore.
Quindi, dal punto di vista strettamente diplomatico, io credo che tutto si sia risolto
con un consolidamento e una vittoria politica da parte di Assad. Che poi si tratti
veramente di un risultato decisivo, tenendo conto che è probabile o comunque possibile
che l’uso delle armi chimiche non si sia limitato soltanto al regime di Assad ma che
sia stato anche dei ribelli, e quanto poi lo smantellamento dell’arsenale del regime
senza che venga smantellato l’arsenale dei ribelli – o il fatto se poi Assad smantellerà
veramente sotto il controllo internazionale questo arsenale – lascia tutta la questione
in pregiudicato. Mi pare che sostanzialmente si sia fatto molto rumore per nulla e
che la montagna abbia partorito un topolino.
D. – Stati Uniti e Russia si sono
detti, ora, favorevoli a fissare quanto prima una data per una conferenza di pace
e per questo faranno ‘pressioni’ sull’Onu. Questo comunque fa sperare nella fine delle
ostilità, fa ben sperare per la popolazione?
R. – Allo stato attuale delle
cose, nessuno dei due contendenti sembra in grado di vincere militarmente la partita,
per cui il fatto di pervenire a una conferenza di pace che possa condurre gli interlocutori
ad un tavolo di trattative, mi sembra comunque un risultato positivo, anche perché
obiettivamente Assad non potrà più ripresentarsi con lo stesso schema di potere e
di controllo della società siriana, perché bene o male il suo ruolo è stato intaccato
e la sua funzione di dittatore, di capo assoluto, di dominatore incontrastato della
scena politica siriana è stato rimesso in discussione. Di conseguenza, credo che comunque
i rivoltosi avranno modo di strappare ad Assad delle concessioni e contemporaneamente
Assad potrà dire e sbandierare di fronte all’opinione pubblica internazionale, di
avere respinto gli assalti, di aver vinto in qualche modo la sua guerra, perché un
incontro di pace vuol dire automaticamente che egli resta al potere: con poteri diminuiti,
sicuramente, però indubbiamente rimane al potere. Comunque, penso che lo sbocco di
questa situazione senza via d’uscita sia quello di un’intesa generale, in cui possano
intervenire le forze e le potenze internazionali, come gli Stati Uniti e come la Russia,
e in qualche modo trovino un terreno di convergenza diplomatica e politica tra i due
contendenti.