Mons. Sorrentino: il Papa ad Assisi, un'esperienza grande di umanità
Una visita, quella del Papa venerdì ad Assisi, ricca di spunti, gesti e parole forti
e di una partecipazione calorosa della gente. "La sua presenza ci ha segnato profondamente,
ora occorre tempo per riflettere": così, al microfono della nostra inviata ad Assisi,
Gabriella Ceraso, il vescovo della località umbra, mons. Domenico Sorrentino,
che ha accompagnato il Pontefice in tutte le tappe del suo pellegrinaggio sulle orme
di San Francesco:
R. - È stata
davvero un’esperienza grande, un’esperienza di Chiesa, di umanità, di popolo e soprattutto
un grande impulso di speranza. Ho toccato con mano il segreto di Papa Francesco, un
uomo che vive di Dio e, proprio per questo, sa stabilire dei rapporti, sa prendere
al volo il contatto con le persone e sa parlare a distanza. La gente ne ha bisogno;
questo popolo aveva bisogno ‘fisico’ di lui: tutti avrebbero voluto toccarlo, abbracciarlo.
Si è verificato qualcosa che ha fatto andare il mio pensiero a quello che si verificava
con Gesù. Il Vangelo ci dice che, quando camminava, le persone lo seguivano e spesso
lo tallonavano, lo toccavano. Tra loro e Gesù si stabiliva qualcosa di ‘fisico’: c’era
il bisogno di essere guardati, amati, curati. Le sensazioni ieri per me sono state
tante, perché poi guardavo e riflettevo: c’era gente che gridava, gente che ha ‘costretto’
il Pontefice a fermarsi con la papamobile e lui ha assecondato queste richieste. È
dovuto scendere, non poteva andare avanti, perché c’era questa o quella persona che
gridava porgendogli il figlio da baciare. Sono rimasto veramente sconvolto dal fatto
che tutti avessero negli occhi e esprimessero questo bisogno.
D. - E ora come
si riparte? Con quali obbiettivi, con quali prospettive?
R. - Per quanto riguarda
questa nostra Chiesa di Assisi, gli obbiettivi non sono diversi da quelli che avevamo
in qualche modo messo a fuoco. Il Papa, tra l’altro, ce li ha riconsegnati; ha ripreso
il nostro piano pastorale dicendo: ”Io vi confermo in questo. Andate avanti con coraggio”.
Il Santo Padre ci ha dato testimonianza di uno stile, di un sentimento, di un modo,
di una maniera di porsi. Basti pensare alla grande scuola che ci ha fatto al Serafico;
è stata un’ora di lezione su come si sta di fronte a chi si trova in difficoltà e
deve essere accompagnato in tutto. È stata un’ora di commozione! Ho visto gente che
ha iniziato subito a commuoversi mentre lui passava di ragazzo in ragazzo, di persona
in persona. Mi guardavo intorno, c’era gente con gli occhi pieni di lacrime.
D.
- Quindi umiltà, ma anche forza e coraggio: il Papa ha dato speranza …
R. –
Certo. Il Papa ha salutato tutti, ma quando vedeva un malato, un disabile, un anziano,
un bambino ‘si tuffava’! Era una maniera diversa di salutare e, più una persona si
presentava con il volto della sofferenza, più lui si sentiva quasi rapito. L’esperienza
di San Francesco lui l’ha vissuta. Non so in quanti hanno riflettuto su quello che
è il testamento di San Francesco, il suo programma. Quando Francesco dice: “Il Signore
volle che io cominciassi così a far penitenza: avevo ripugnanza dei lebbrosi - erano
le figure più emarginate del tempo – ma il Signore mi spinse tra di loro. Usai loro
misericordia e quello che prima era amaro, divenne dolcezza di anima e di corpo”.
Ma questo è stato esattamente quello che il Papa ci ha dimostrato. Lui la dolcezza
- quella che rende le persone più tenere, più buone - l’ha mostrata, l’ha vissuta,
l’ha testimoniata ogni volta che ha incontrato un volto sofferente.