2013-10-05 14:47:52

Brasile. La Chiesa accanto agli indios contro la limitazione delle loro aree


Da giorni, in Brasile, gli indios protestano contro un progetto di legge considerato fortemente discriminatorio nei loro confronti. In particolare la norma, denominata "PEC215", prevede modifiche alle regole di demarcazione delle terre dei nativi trasferendo la competenza dall’esecutivo al parlamento. Dal canto suo, il governo Roussef ritiene “incostituzionale” la legge. In prima linea, al fianco degli indigeni, c’è la Chiesa brasiliana. Cristiane Murray ha raccolto la testimonianza di mons. Flavio Giovenale, vescovo di Santarém:RealAudioMP3

R. – In questa settimana, gli indigeni stanno facendo diverse manifestazioni in varie parti del Brasile per richiamare l’attenzione del popolo brasiliano e anche internazionale sulle nuove leggi che sono in discussione in parlamento che renderebbero praticamente impossibile creare nuove aree indigene. Già prima della Costituzione democratica del 1988 – che li aveva confermati – gli indios erano riusciti a sancire il riconoscimento dei diritti storici sia agli indigeni sia ai kilombola, i discendenti degli antichi schiavi. Il riconoscimento di tali diritti comporta anche la delimitazione di aree – tipo le “riserve” – nelle quali gli indios o i kilombola possono conservare il loro stile di vita con la garanzia, quindi, oltre che della tutela fisica, anche di quella culturale. Ultimamente ,sono in discussione in parlamento diversi progetti di legge sia dell’esecutivo, sia del legislativo che affermano come non sia più il presidente della Repubblica a compiere questa analisi, bensì un gruppo di ministeri. E la lentezza con cui i ministeri lavorano significano: “Non vogliamo più nessuna riserva indigena, nessuna riserva kilombola”. Ecco perché gli indios stanno facendo queste manifestazioni: proprio per dire “Vogliamo mantenere la legislazione attuale affinché i nostri diritti di sopravvivenza fisica e culturale possano essere rispettati”.

D. – E la Chiesa è accanto a loro?

R. – La Chiesa è accanto a loro perché crede che gli indios, inseriti nella civiltà cosiddetta "normale", nelle città, perderebbero prima di tutto la cultura, e quindi l’identità culturale, la sopravvivenza culturale. Ma poi, anche la sopravvivenza fisica, perché contrarrebbero malattie a cui non sono abituati.

D. – Lei ha una stima di quanti possano essere oggi, più o meno, gli indios in Brasile?

R. – In Brasile, gli indios stanno aumentando: adesso non saprei dire esattamente il numero. Negli ultimi 20 anni, c’è stato questo fattore molto bello, per cui gli indios sono in crescita, proprio perché si è riusciti ad avere leggi che li proteggessero e quindi garantissero il loro futuro. Credo siano attorno ai cinque milioni.

D. – Lei pensa che questo sarà uno dei temi affrontati nell’incontro della Chiesa dell’Amazzonia, che si terrà a fine ottobre a Manaus?

R. – La presenza indigena in Amazzonia è uno dei temi che sempre si affrontano in questi nostri incontri. L’Amazzonia è la regione in cui vive la maggior parte dei popoli indigeni: è una realtà molto vasta, la maggioranza dei popoli indigeni brasiliani vive in Amazzonia. Perciò, certamente ci sarà una presa di posizione anche della Chiesa, collettivamente, per dare più forza ai vescovi che hanno questo problema in forma più acuta.







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