Brasile. La Chiesa accanto agli indios contro la limitazione delle loro aree
Da giorni, in Brasile, gli indios protestano contro un progetto di legge considerato
fortemente discriminatorio nei loro confronti. In particolare la norma, denominata
"PEC215", prevede modifiche alle regole di demarcazione delle terre dei nativi trasferendo
la competenza dall’esecutivo al parlamento. Dal canto suo, il governo Roussef ritiene
“incostituzionale” la legge. In prima linea, al fianco degli indigeni, c’è la Chiesa
brasiliana. Cristiane Murray ha raccolto la testimonianza di mons. Flavio
Giovenale, vescovo di Santarém:
R. – In questa
settimana, gli indigeni stanno facendo diverse manifestazioni in varie parti del Brasile
per richiamare l’attenzione del popolo brasiliano e anche internazionale sulle nuove
leggi che sono in discussione in parlamento che renderebbero praticamente impossibile
creare nuove aree indigene. Già prima della Costituzione democratica del 1988 – che
li aveva confermati – gli indios erano riusciti a sancire il riconoscimento dei diritti
storici sia agli indigeni sia ai kilombola, i discendenti degli antichi schiavi.
Il riconoscimento di tali diritti comporta anche la delimitazione di aree – tipo le
“riserve” – nelle quali gli indios o i kilombola possono conservare il loro stile
di vita con la garanzia, quindi, oltre che della tutela fisica, anche di quella culturale.
Ultimamente ,sono in discussione in parlamento diversi progetti di legge sia dell’esecutivo,
sia del legislativo che affermano come non sia più il presidente della Repubblica
a compiere questa analisi, bensì un gruppo di ministeri. E la lentezza con cui i ministeri
lavorano significano: “Non vogliamo più nessuna riserva indigena, nessuna riserva
kilombola”. Ecco perché gli indios stanno facendo queste manifestazioni: proprio per
dire “Vogliamo mantenere la legislazione attuale affinché i nostri diritti di sopravvivenza
fisica e culturale possano essere rispettati”.
D. – E la Chiesa è accanto
a loro?
R. – La Chiesa è accanto a loro perché crede che gli indios, inseriti
nella civiltà cosiddetta "normale", nelle città, perderebbero prima di tutto la cultura,
e quindi l’identità culturale, la sopravvivenza culturale. Ma poi, anche la sopravvivenza
fisica, perché contrarrebbero malattie a cui non sono abituati.
D. – Lei ha
una stima di quanti possano essere oggi, più o meno, gli indios in Brasile?
R.
– In Brasile, gli indios stanno aumentando: adesso non saprei dire esattamente il
numero. Negli ultimi 20 anni, c’è stato questo fattore molto bello, per cui gli indios
sono in crescita, proprio perché si è riusciti ad avere leggi che li proteggessero
e quindi garantissero il loro futuro. Credo siano attorno ai cinque milioni.
D.
– Lei pensa che questo sarà uno dei temi affrontati nell’incontro della Chiesa dell’Amazzonia,
che si terrà a fine ottobre a Manaus?
R. – La presenza indigena in Amazzonia
è uno dei temi che sempre si affrontano in questi nostri incontri. L’Amazzonia è la
regione in cui vive la maggior parte dei popoli indigeni: è una realtà molto vasta,
la maggioranza dei popoli indigeni brasiliani vive in Amazzonia. Perciò, certamente
ci sarà una presa di posizione anche della Chiesa, collettivamente, per dare più forza
ai vescovi che hanno questo problema in forma più acuta.