2013-10-04 12:27:23

Lampedusa, 111 corpi recuperati. P. Zerai: da anni si specula sulla pelle degli immigrati


Sono proseguite per tutta la notte le ricerche di eventuali sopravvissuti al naufragio di ieri al largo di Lampedusa, dove al momento sono stati recuperati 111 corpi, ma numerose decine sono ancora intrappolate nel relitto ed anche il mare agitato ostacola le operazioni. Il servizio di Alessandro Guarasci:

Il bilancio di 111 morti è purtroppo parziale, nell’isola sono arrivate infatti 140 bare. Uno dei sub ha raccontato di una “massa di corpi incastrati nella stiva” ed altri “aggrappati alla fiancata del peschereccio”. Il ministro Alfano ha confermato che “ci sono altre decine di corpi incagliati tra le lamiere”, chiedendo poi di assegnare il Nobel per la pace a Lampedusa. Per Alfano, che riferirà alla Camera alle ore 13, serve “agire in Europa e in Africa per contrastare i flussi di immigrazione illegale” e tutto non può essere risolto solo abolendo la Bossi-Fini. Tra poco arriverà anche il Presidente della Camera Laura Boldrini. Oggi è lutto non solo a Lampedusa, ma in tutta Italia, e nelle scuole sarà osservato un minuto di silenzio. Per il portavoce della commissaria europea per gli Affari Interni Cecilia Malstrom bisogna agire per fermare gli scafisti intensificando l’azione della Ue, anche nei Paesi di origine e di transito.

La maggioranza dei migranti era originaria della Somalia e dell’Eritrea, la prima in guerra dal 1994 e la seconda sconvolta dalla dittatura. Davide Pagnanelli ha approfondito il dramma umano di queste persone intervistando padre Mussie Zerai, presidente dell’associazione per la cooperazione e lo sviluppo “Habeshia”: RealAudioMP3

R. - Stando unicamente alle statistiche delle Nazioni Unite ogni mese solo dall’Eritrea arrivano duemila nuovi richiedenti asilo nei campi profughi in Sudan; da lì si spostano verso la Libia e dalla Libia verso l’Europa, quindi anche verso l’Italia.

D. – Da cosa scappano queste persone?

R. – I somali scappano dalla situazione di guerra che si protrae dal ’94; gli eritrei sfuggono dalla dittatura, dall’assenza di qualsiasi libertà, sono costretti ad una vita militare infinita e a vivere quindi uno stato di schiavitù legalizzato nel Paese in cui vivono. Fuggono per trovare la libertà e ricostruire un futuro. C’è chi fugge anche dalla fame, specialmente quest’anno che c’è una forte carestia.

D. – Quali pericoli incontrano durante il cammino?

R. – Vengono sequestrati, maltrattati e devono spesso pagare riscatti per la loro liberazione. Moltissime persone, prima ancora di arrivare sulle coste libiche, rimangono paralizzati, mutilati, feriti... Quindi, i pericoli che devono superare sono tantissimi. Una volta arrivati in Libia, nei centri di detenzione la situazione non cambia, sappiamo che tipo di vita fanno: maltrattamenti, abusi...

D. – Perché non sono stati ancora creati “corridoi umanitari” che facciano migrare queste persone in sicurezza?

R. – Soltanto perché manca la volontà politica di agire e accogliere queste persone. Spesso si specula, si fanno campagne elettorali sulla pelle di queste persone e si preferisce guardare agli interessi particolari dei partiti senza tener conto che stiamo parlando di vite umane.

D. – Cosa può fare dunque la Comunità internazionale per rispondere a questo problema?

R. – Iniziare intanto a risolvere i conflitti ed i problemi che spingono queste persone a lasciare il proprio Paese; questa sarebbe la miglior soluzione da proporre a queste persone: creare la possibilità che possano vivere liberamente, in modo dignitoso nel proprio Paese. Nel frattempo, però, una soluzione provvisoria è anche quella di garantire un accesso legale, protetto, verso un Paese dove possano trovare asilo e la protezione internazionale. Un programma di accoglienza, di reinsediamento anche di un corridoio umanitario che permetta a queste persone di arrivare legalmente nel Paese di destinazione, senza doversi affidare ai trafficanti mettendo in pericolo la loro vita.







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