La tragedia di Lampedusa: recuperati 111 corpi. Ricerche interrotte per il mare mosso
Si sono fermate le ricerche a Lampedusa. Le avverse condizioni del mare impediscono
ai soccorritori di portarle avanti e anche di recuperare i corpi ancora incastrati
nel relitto del peschereccio. 155 i superstiti, tra loro oltre 40 minori. 111 finora
i corpi ripescati, tra cui 4 bambini, 49 donne e 58 uomini, bilancio pesante, destinato
a diventare pesantissimo considerando i dispersi. Nel Paese è stato decretato lutto
nazionale, a Lampedusa chiusi tutti gli esercizi commerciali. Servizio di Francesca
Sabatinelli:
Soltanto
una parola, Basta. Basta con i morti, basta con queste carneficine annunciate. I lampedusani
esprimono meglio di chiunque altro il pensiero di chi ha una coscienza. Di fronte
a tutti questi corpi non basta più chiedere a gran voce il Nobel per la pace per Lampedusa,
perché a cominciare dagli stessi abitanti, riunitisi nella chiesa di San Gerlando
per una Messa e poi in processione per una fiaccolata, la richiesta è che si metta
fine a queste tragedie, che si facciano corridoi umanitari. L’Ue alzi il suo livello
di intervento, chiede il premier Letta, è un lutto europeo, continua il premier, mai
più drammi così. Le commozione è internazionale, ma da quell’Unione Europea così tanto
invocata arriva il gelo: è miopia italiana – spiegano da Bruxelles – dire che l’Europa
non ha fatto abbastanza per evitare la tragedia. Ed ecco i sentimenti dei lampedusani,
nelle parole del parroco don Stefano Nastasi, al microfono di Elvira Ragosta:
R. – C’è tanta
rabbia, tanto sconforto, anche perché la comunità ha pensato fin dal primo momento
che era qualcosa che si doveva e si poteva probabilmente evitare.
D. – I lampedusani
continuano la staffetta di solidarietà, nonostante le scene terribili di ieri, ma
cosa resterà alla popolazione di questa esperienza?
R. – Non possono nascondere
uno scoraggiamento, che quindi non è solo mio, ma anche della comunità. Questo è un
dramma troppo grande per noi, che incide nella carne di una comunità, perché se da
un lato c’è la perdita di questi fratelli, il dolore atroce delle loro famiglie, dall’altro
lato c’è una sofferenza che s’iscrive nella storia di questa comunità e che entra
nelle nostre carni.
D. - Lei si è unito all’appello del sindaco Giusi Nicolini
e alle istituzioni italiane ed europee. Quale potrebbe essere, secondo lei, la soluzione
più efficace per evitare l’ennesima tragedia di migranti?
R. – Penso che la
risposta sia di realizzare un corridoio umanitario, in modo tale da poter dare la
possibilità a chi riceve lo status di rifugiato di poter essere custodito, senza essere
travolto dal mare.
Fondamentale è ora che si riveda la Bossi-Fini, la normativa
in materia di immigrazione, lo dice anche il presidente del Senato , Pietro Grasso,
per evitare ad esempio che si possa cadere nel reato di favoreggiamento nello sbarco
di clandestini solo perché si interviene per dare soccorso a chi rischia di morire.
La maggior parte delle persone che si trovavano sul peschereccio era originaria
della Somalia e dell’Eritrea. Da cosa scappano tutte queste persone? Davide Pagnanelli
lo ha chiesto a don Mussie Zerai, presidente dell’associazione per la cooperazione
e lo sviluppo Habeshia:
R. – I somali
scappano dalla situazione di guerra che si protrae dal ’94. Gli eritrei sfuggono dalla
dittatura, dall’assenza di qualsiasi libertà, sono costretti ad una vita militare
infinita e a vivere quindi uno stato di schiavitù legalizzato nel Paese in cui vivono.
Fuggono per trovare la libertà e ricostruire un futuro. C’è chi fugge anche dalla
fame, specialmente quest’anno che c’è una forte carestia
D. – Quali pericoli
incontrano durante il cammino?
R. – Vengono sequestrati, maltrattati e devono
spesso pagare riscatti per la loro liberazione. Moltissime persone, prima ancora di
arrivare sulle coste libiche, rimangono paralizzati, mutilati, feriti... Quindi, i
pericoli che devono superare sono tantissimi. Una volta arrivati in Libia, nei centri
di detenzione la situazione non cambia. Sappiamo che tipo di vita fanno: maltrattamenti,
abusi...
D. – Perché non sono stati ancora creati “corridoi umanitari” che
facciano migrare queste persone in sicurezza?
R. – Soltanto perché manca la
volontà politica di agire e accogliere queste persone. Spesso si specula, si fanno
campagne elettorali sulla pelle di queste persone e si preferisce guardare agli interessi
particolari dei partiti senza tener conto che stiamo parlando di vite umane.
D.
– Cosa può fare dunque la comunità internazionale per rispondere a questo problema?
R.
– Iniziare intanto a risolvere i conflitti ed i problemi che li spingono a lasciare
il proprio Paese: questa sarebbe la miglior soluzione da proporre a queste persone.
Creare la possibilità che possano vivere liberamente, in modo dignitoso nel proprio
Paese. Nel frattempo, però, una soluzione provvisoria è anche quella di garantire
un accesso legale, protetto, verso un Paese dove possano trovare asilo e la protezione
internazionale. Un programma di accoglienza, di reinsediamento anche di un corridoio
umanitario che permetta a queste persone di arrivare legalmente nel Paese di destinazione,
senza doversi affidare ai trafficanti mettendo in pericolo la loro vita.