Evangelizzare cantando: presentato il volume "Musica sacra popolare oggi"
“Evangelizzar cantando”, questo è il fine educativo della musica sacra popolare, che
è stata raccontata nella sua storia attraverso i secoli, nel volume “Musica sacra
popolare oggi. Liturgia, pietà popolare, catechesi ed evangelizzazione”, edito dalla
Libreria Editrice Vaticana (Lev). Il libro, scritto da don Amelio Cimini, è
stato presentato a Roma presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra. Come nasce
questo viaggio attraverso la musica sacra? Ascoltiamo l’autore, al microfono di Marina
Tomarro:
R. - Nasce,
forse, per eredità genetica. È una passione che ho da adolescente, da musicista, che
è andata a cercarsi un po’ le radici di tutto questo patrimonio enorme e, attraverso
la ricerca, ci si è resi conto che non è un patrimonio che riguarda il passato, ma
riguarda il passato per camminare e per guardare al futuro. Quindi, è qualcosa da
non dimenticare, ma soprattutto da cui ripartire per camminare con i tempi ed esprimere
con i tempi quella fede che il nostro popolo ha sempre espresso a proprio modo.
D.
- Quanto è conosciuta oggi la musica sacra popolare?
R. - Diciamo che è in
riscoperta. Il fatto stesso che quanto noi facciamo qualcosa la gente rimaga molto
colpita, partecipe e contenta, vuol dire che percepisce qualcosa in questi canti,
che è fede trasmessa nei secoli attraverso partiture che, nel tempo, non si stancano
mai di riportare con la loro voce, ma soprattutto con il loro animo, con la loro fede,
qualcosa che è eterno, che non tramonta mai.
E conservare la memoria di questi
canti, vuol dire anche evitare l’oblio di un patrimonio storico molto prezioso. Mons.Vincenzo De Gregorio, presidente del Pontificio Istituto di Musica Sacra:
R.
- Con la riforma liturgica, è caduto un discrimine che prima esisteva tra musica strettamente
liturgica e musica popolare. Oggi, il problema è questo: scommettiamo che grazie a
questa caduta dello steccato, la musica popolare non ha più spazio perché è tutta
assorbita all’interno della liturgia? Perché questo significherebbe togliere la genialità
dell’intuizione, dell’improvvisazione del popolo, dello spazio di autonomia. Per cui,
oggi si tratta prima di tutto di gestire una spontaneità che non esiste più. E' un
discorso quindi che riguarda il passato, il presente, e dall’altra parte riguarda
poi un dovere di custodia di questo grandissimo patrimonio che bisogna raccogliere,
studiare, catalogare, custodire. Perché altrimenti è una fetta di storia della musica
che ci viene a mancare.
D. - Quanto è conosciuta oggi la musica popolare?
R.
- Allora, questo è il problema. Non è conosciuta. Facciamo il paragone con i nostri
giovani: quel bellissimo repertorio degli Anni ’40-’50-’60 lo conoscono? No. Allora,
il problema ha la stessa stregua, anzi forse solo la chiesa rimane il luogo dove si
possa cantare "Noi vogliam Dio", "Mira il tuo popolo", "Dell’Aurora tu sorgi più bella"
ed ecco immediatamente tutti seguono. Quindi, è un fatto che travalica i confini della
musica religiosa popolare ed è un problema delle nostre nuove generazioni, che conoscono
benissimo il repertorio degli autori contemporanei, del cantautore di grido, ma non
conoscono nulla del loro patrimonio musicale popolare non soltanto religioso, ma anche
italiano.
Il ruolo iniziale di queste melodie era quello di evangelizzare il
popolo in maniera semplice e comprensibile a tutti. Ascoltiamo il maestro Ambrogio
Sparagna, esperto in etnomusicologia:
"Questi canti sono alla base una
sorta di Vangelo per i poveri. Sono forme di racconti tratti dal Vangelo ed esemplificati.
Il catechismo dei poveri, questa era la funzione. Per quanto riguarda la mia funzione
di studioso, ho scoperto del materiale di assoluta bellezza, anche poetica, soprattutto,
ad esempio, nella grande tradizione siciliana nata dopo la Controriforma, ad opera
dei Gesuiti, quando incominciarono a scrivere in dialetto siciliano tutta una serie
di passi del Vangelo per renderlo appunto accessibile chi non sapeva né leggere né
scrivere”.