Il responsabile della Caritas di Assisi: i nostri poveri aspettano con speranza Papa
Francesco
I poveri, motivo di fondo della scelta del nome Francesco, da parte di Papa Bergoglio,
segneranno anche fortemente la visita ad Assisi venerdì 4 ottobre. Il Pontefice incontrerà
un gruppo di poveri assistiti dalle 8 Caritas diocesane, al vescovado, nella stanza
della spoliazione dove San Francesco rinunciò ai beni paterni per consacrarsi a Dio;
poi pranzerà tra i senza fissa dimora del Centro Caritas vicino la stazione. Ma quali
sono i volti della povertà in Umbria? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a padre
Vittorio Viola responsabile diocesano della Caritas, che accoglierà il Papa alla
mensa:
R. – C’è il
volto della povertà un po’ di sempre, di chi sceglie la strada come casa; ma c’è anche
il volto nuovo di chi ha perso il lavoro e con il lavoro spesso anche la proprio dignità.
Un recente studio individua in Umbria circa 36 mila famiglie povere, di cui poco più
di 6 mila sotto la soglia della povertà.
D. – Com’è la realtà? Quante persone
passano e come le riuscite ad aiutare?
R. – Questo è un centro di prima accoglienza,
quindi per periodi brevi. Ha una disponibilità di circa 20 posti letto e c’è anche
una mensa: normalmente, ogni giorno, a pranzo e a cena, dalle 25 alle 30 persone si
fermano. E’ significativo il fatto che questo centro di prima accoglienza sia accanto
alla stazione di Assisi, perché per molti anche solo dire “Vado ad Assisi”, è veramente
la ricerca che va oltre un aiuto materiale, quasi la ricerca di quella pace che faticano
a trovare. Per molti c’è anche questa richiesta, di una parola di speranza.
D.
– Il Papa ha scelto di pranzare qui. Questo che eco ha avuto?
R. – La prima
reazione certamente è quella di sorpresa. Poi devo dire che un po’ in tutti è sembrato
quasi naturale, per quello che in questi mesi lui ci ha detto con le sue parole e
con i gesti che fa. Per cui, subito dopo la sorpresa, era come sentirlo uno di casa.
E verrà accolto così: nella semplicità che lui stesso ha fortemente voluto.
D.
– Guardando il programma di questa visita, che idea si è fatto, che segno può lasciare
o si augura che possa lasciare?
R. – Parole e gesti forti, come ci ha abituato
Papa Francesco in questi mesi. Una delle prime sue parole: “Una Chiesa povera per
i poveri”. Le opere della carità come concretezza, solidarietà, lo stare accanto,
il difendere. E’ una parola che dobbiamo saper tradurre anche in scelte di politiche
sociali che partano da questa considerazione della dignità dell’uomo e della fatica
di questo momento. Credo che vada poi a toccare non solo uno stile di essere Chiesa,
ma anche il modo di fare pastorale; un coinvolgimento di tutta la comunità. La carità
è comandamento dell’amore, a cui tutti siamo chiamati.
D. – Il Papa incontra
i poveri in due momenti: chi saranno questi “protagonisti”?
R. – Sono presenti
i direttori delle 8 Caritas diocesane dell’Umbria, con una rappresentanza di diversi
volti della povertà: è povertà la disoccupazione; è povertà l’aver perso casa; è povertà
anche la malattia e la malattia mentale in particolare. Ci saranno anche due fratelli
che vivono in carcere; e fratelli e sorelle di altre case di accoglienza della Caritas
regionale. Quindi saranno presenti anche queste realtà davanti al Papa che – ha già
accennato – vorrà dirci come si deve spogliare la Chiesa. Questo detto di fronte a
chi è stato spogliato dalla vita e stando accanto a chi vive questa fatica, è una
parola che sicuramente scuoterà.
D. – Perché San Francesco ha scelto Madonna
Povertà come sposa?
R. – Tutti i gesti di Francesco, soprattutto quelli più
radicali, hanno sempre come unica motivazione Gesù Cristo e nient’altro che lui. Quindi
non è la ricerca ideologica della povertà, di contestazione: è implicita la contestazione.
La scelta è la povertà di Gesù Cristo; è la sposa che Gesù Cristo ha scelto Madonna
Povertà, morendo, povero e nudo, sulla Croce. E Francesco che ha questo incontro con
il Cristo Vivo di San Damiano, che gli parla, gli mette nel cuore il desiderio di
conformarsi in tutto a Lui. Da quel momento la Passione di Gesù Cristo gli si è impressa
nel cuore, ancor prima che con i segni delle stimmate. Quindi per Francesco è Cristo
povero e Crocifisso: questa è la povertà che lui vuole e non poter vivere qualcosa
di diverso da ciò che Gesù Cristo ha vissuto.
Come Karol Woytila nel 1993,
anche il Pontefice inizierà la sua visita dall’Istituto Serafico, la grande struttura
che ai piedi della città ospita e cura più di 100 pluriminorati gravi di tutta Italia.
Sono bambini e giovani che il Papa saluterà nella cappella dell’Istituto, dopo l’atterraggio
con l’elicottero nel vicino campo sportivo. Nell’udienza del 12 giugno scorso, è
stata la presidente del Serafico, Francesca di Maolo, a consegnare al Pontefice una
lettera di invito, “perché” dice, “questo è un luogo speciale”. Gabriella Ceraso l’ha
intervistata:
R. – Perché
crediamo che questo istituto oggi possa esprimere concretamente il messaggio di Francesco.
I nostri ragazzi rappresentano i semplici, riportano ai valori autentici della vita
con la loro lotta, ogni giorno, contro le sfide della disabilità. E San Francesco
si aprì all’amore proprio dopo quell’abbraccio ai lebbrosi. E noi pensiamo che questi
ragazzi, gravemente sofferenti, effettivamente portino all’apertura piena, all’amore.
D. – Il Papa non solo ha deciso di venire, ma ha deciso di iniziare la sua
visita ad Assisi proprio da voi: quindi le prime parole sono proprio per voi…
R.
– E’ stata una grandissima gioia, perché non pensavamo a tutto questo spazio. I ragazzi
vivono questo momento con grande naturalezza, perché per loro – dopo quell’incontro
il 12 giugno – è il padre: per loro è l’amico Francesco. Lo hanno invitato nella loro
casa e quindi si stanno preparando come chi aspetta l’ospita.
D. – Qual è
la missione di questo istituto? Lei ha parlato di un luogo speciale…
R. – Da
un lato, l’Istituto Serafico è un luogo di sofferenza, ma è un luogo anche di grazia.
Significa ogni giorno stare a contatto con la carne di Cristo che soffre.
D.
– Esiste la “cultura dello scarto”, di cui il Papa parla quando parla di chi mette
ai margini i malati, gli ultimi, i sofferenti?
R. – Esiste fortemente! Io conservo
la lettera di un genitore dei nostri ragazzi, che dopo la notizia della visita del
Santo Padre mi racconta di una grande restituzione ottenuta con questa visita. per
lui che è abituato a vivere sempre ai margini con suo figlio. Molti dei genitori mi
dicono anche che difficilmente riescono a portarli nei luoghi, nei luoghi pubblici,
proprio perché sono visti come soggetti non produttivi. Sono visti come un costo.
Le famiglie sono famiglie invisibili. E quindi, il fatto che il Papa ribalti la logica
è anche un grande messaggio sociale. Dopo il 4 ottobre, speroche possa cambiare un
po’ la logica della società: rimettere al centro proprio la persona, partendo dalla
persona ferita, partendo dalla famiglia ferita.
D. – Lei stessa ha vissuto
in prima persona questa sorta di paura di avvicinarsi a un luogo di sofferenza…
R.
– E’ così. Io stessa sono passata tante volte di fronte a questo Istituto, ma cercavo
di non pormi delle domande. Poi, invece, varcando la soglia dell’Istituto si subisce
una trasformazione. Poter stare a contatto con questi giovani, ci ha riportato ai
valori autentici della vita.
D. – I ragazzi stanno preparando qualcosa per
il Papa? Ci sarà uno scambio, uno dono?
R. – I ragazzi stanno lavorando nei
laboratori: c’è chi prepara un disegno, loro lavorano anche la ceramica… Non lo so
alla fine quale cosa uscirà fuori, ma sicuramente ci sarà. So che ruoterà intorno
al tema dell’abbraccio: per loro l’abbraccio è il contatto umano ed è importantissimo.
Parliamo di bambini e ragazzi che sono prigionieri nel buio, sono prigionieri della
loro disabilità. Quindi, poter entrare in contatto con l’altro diventa un’espressione
di amore, un’espressione di fiducia, di sicurezza. Anche questo diventa un messaggio,
un messaggio per tutti. E’ essere, appunto, sempre in relazione, in prossimità con
l’altro.
Ma sentiamo come stanno vivendo l’attesa del Papa i terapisti, gli
educatori, e i religiosi che lavorano al Serafico e che ogni giorno con amore si dedicano
ai ragazzi malati. Le interviste sono di Gabriella Ceraso:
D. – Che cosa
significa per voi religiose stare qui con questi ragazzi?
R. – E’ un luogo
dove veramente si vive il Vangelo dell’amore, dove noi siamo testimoni di questo.
I nostri ragazzi per noi sono dei figli.
D. – Per voi, penso che la presenza
del Papa abbia ancor più significato?
R. – Sì, per noi è un grande onore che
sta a dimostrare quell’amore preferenziale per gli ultimi.
D. – Cosa il Papa
può portare a loro, oltre che con al sua presenza, anche con le sue parole?
R.
– La tenerezza di un padre! Una fonte, oltre che di gioia, di speranza.
D.
- Voi lavorate con i più piccoli della struttura: che cos’è lavorare con loro ogni
giorno?
R. – Pazienza e tanto amore. Arrivare con un spirito di energia, di
positività…
D. – Loro ci saranno alla visita del Papa?
R. – Sì loro
saranno presenti. Non so quanto potranno capire la presenza del Papa, ma sicuramente
sentono questa grande energia di tutti noi, di noi educatori…
D. – Per voi
che cosa rappresenta questo momento?
R. – Un grande messaggio di pace, di serenità
sicuramente mi aspetto dal Papa. Forse una finestra che si apre in più in questo istituto
per far vedere al mondo, soprattutto in questo periodo, che siamo tutti un po’ individualisti,
cosa veramente si fa per gli esseri umani più indifesi.
D. – Un Papa che esprime
le sue emozioni abbracciando e incontrando che cosa può significare?
R. – Per
noi è tantissimo, perché è un po’ quello che facciamo anche noi tutti i giorni. Noi
lavoriamo molto sul contatto corporeo soprattutto, visto che lavoriamo anche con i
non vedenti… Il linguaggio verbale pieno di sovrastrutture per loro è poco significativo:
noi dobbiamo usare un linguaggio semplice come quello che un po’ usa il Papa. E comunque
molta empatia.
D. – Cosa, secondo lei e secondo voi che ci lavorate, può significare
la sua presenza proprio qui?
R. – Per noi è un dono grandissimo, perché comunque
è un’attenzione che lui rivolge a questo tipo di ragazzi, di persone, che sono un
po’ gli ultimi per la società: che sono sorvegliati, assistiti. Invece lui, in questo
caso, dà loro una valenza importante, che loro hanno chiaramente: lui ha colto l’essenza
della cosa. Non sono ragazzi da compatire, ma sono ragazzi da scoprire. Quindi è bellissimo
il fatto che lui venga qui a conoscerli. Per noi è emozionante. Anche per il nostro
lavoro di tutti i giorni è un incentivo grandissimo.
D. – Come stanno vivendo
questi ragazzi l’attesa del Papa?
R. – Con tante emozione, veramente con tante
emozione. Loro sono felicissimi e stanno pensando anche a cosa regalare. Quindi stanno
sperimentando con le varie tecniche, con il colore, con l’argilla cose da produrre,
regali da produrre proprio per il Santo Padre.
D. – Fanno domande?
R.
– Sì. Vogliono sapere quando arriverà, come sarà vestito… Ieri Ivan ha addirittura
provato a fare un ritratto del Santo Padre.