Pakistan: ancora sangue a Peshawar. I cristiani pregano per le vittime e la pace nel
Paese
Ancora sangue e violenze a Peshawar, capoluogo della provincia pakistana di Khyber
Pakhtunkhwa, teatro nell'ultima settimana di tre attentati suicida di matrice islamista.
Domenica mattina un'autobomba piazzata nel mercato cittadino è esplosa all'ora di
punta, uccidendo 42 persone e ferendone oltre 100. Al momento dello scoppio, nella
vicina chiesa di Tutti i Santi si stava svolgendo una cerimonia in suffragio delle
vittime della strage del 22 settembre scorso: i fedeli hanno abbandonato il luogo
di culto, nel timore di un nuovo attacco anti-cristiano. Un testimone, Zubair Yousaf,
racconta all'agenzia AsiaNews: "Eravamo in chiesa e stavamo pregando, quando due forti
esplosioni hanno fatto tremare le mura. Mi sono subito balzate alla mente le immagini
terribili di domenica scorsa. Siamo usciti per capire cosa stesse succedendo; era
tutto così improvviso, gente che urlava disperata. Ci siamo diretti verso il mercato,
cercando di aiutare le persone in difficoltà". L'attentato di ieri è il terzo in una
settimana a Peshawar, in una spirale di violenze che autorità e forze di polizia non
sembrano in grado di arginare. In pochi giorni sono morte oltre 200 persone, di cui
175 nell'attacco alla chiesa protestante del 22 settembre. Centinaia i feriti, che
si sommano ai dispersi di cui non si ha più traccia. A sette giorni dall'attacco alla
All Saints Church, infatti, mancano all'appello 18 bambini e 13 ragazzine di età compresa
fra i 13 e i 17 anni. Dal 2009 a oggi il bazar di Kisa Khawani, dove ieri mattina
è esplosa l'autobomba, ha subito almeno 13 attacchi; le autorità hanno aumentato i
livelli di sicurezza nei luoghi sensibili, fra cui chiese, mercati ed edifici governativi.
Finora nessun gruppo ha rivendicato l'attacco, anche se il governo punta il dito contro
i talebani pakistani e i movimenti islamisti affiliati alla galassia del terrorismo
a sfondo confessionale. Il premier Nawaz Sharif ha proposto negoziati con i leader
fondamentalisti, ma le precondizioni poste al dialogo - deposizione delle armi e fine
della carneficina - sono state respinte al mittente. Per il portavoce del Tehreek-e-Taliban
la richiesta di disarmo è segno della "mancanza di serietà" del Primo Ministro. Il
ministro degli Interni Nisar Hussain parla di "alcuni elementi" che vogliono "destabilizzare
la regione" senza peraltro specificare quali. Intanto il tutto il Paese si susseguono
messe e cerimonie dei cristiani per ricordare le vittime della strage a Peshawar.
In molti si sono recati in chiesa per pregare e onorare la memoria dei morti e una
pronta guarigione per i feriti. George Masih racconta: "Mio padre e mia madre sono
tuttora ricoverati in condizioni critiche, mio fratello di otto anni è in un Centro
specializzato a Islamabad ed è stato sottoposto a intervento chirurgico. Ancora oggi
siamo in preda allo shock". Raggiunto da AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di
Islamabad/Rawalpindi (sotto la cui giurisdizione rientra la città di Peshawar), sottolinea
che "abbiamo celebrato una Messa speciale per le famiglie in lutto. Preghiamo per
la pace. Colpire persone innocenti è un atto codardo. Per le persone coinvolte nella
strage è cambiato tutto, non potranno più essere le stesse. Il Pakistan è a un crocevia,
dobbiamo unirci e condannare senza mezzi termini il terrorismo". (R.P.)