Mai rassegnarsi di fronte al dolore di popoli ostaggio di guerra e miseria: così il
Papa a Sant'Egidio
Udienza del Papa ieri ai membri della Comunità di Sant’Egidio e ai rappresentanti
delle Chiese, delle comunità ecclesiali e delle grandi religioni presenti a Roma per
prendere parte al 27.mo incontro per la pace, organizzato annualmente da Sant’Egidio,
e quest'anno dal titolo "Il coraggio della speranza". Papa Francesco li ha ringraziati
per aver seguito la strada tracciata nel 1986 da Giovanni Paolo II con l’incontro
delle religioni ad Assisi con l'invito a "conservare accesa la lampada della speranza,
pregando e lavorando per la pace”. Servizio di Francesca Sabatinelli:
In questi mesi
sentiamo che il mondo ha bisogno dello “spirito” che ha animato l’incontro di Assisi.
Papa Francesco va con il pensiero al 1986, a quando Giovanni Paolo II volle nella
cittadina umbra un incontro di preghiera tra i leader religiosi di tutto il mondo
in nome della pace: “non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri”.
Nel suo discorso Francesco incoraggia i membri della Comunità di Sant’Egidio, che
da quel lontano 86 ripropongono ogni anno l’incontro tra le religioni, a proseguire
il cammino tracciato dal Beato Wojtyla:
"No! Non possiamo mai rassegnarci
di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello
sfruttamento. Non possiamo assistere indifferenti e impotenti al dramma di bambini,
famiglie, anziani, colpiti dalla violenza. Non possiamo lasciare che il terrorismo
imprigioni il cuore di pochi violenti per seminare dolore e morte a tanti. In modo
speciale diciamo con forza, tutti, continuamente, che non può esservi alcuna giustificazione
religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti".
Francesco
ricorda ciò che diceva Benedetto XVI, quando si celebrò due anni fa, il 25.mo di Assisi:
che “bisogna cancellare ogni forma di violenza motivata religiosamente, e insieme
vigilare affinché il mondo non cada preda di quella violenza che è contenuta in ogni
progetto di civiltà che si basa sul ‘no’ a Dio”:
“Come responsabili delle
diverse religioni possiamo fare molto. La pace è responsabilità di tutti. Pregare
per la pace, lavorare per la pace! Un leader religioso è sempre uomo o donna di pace,
perché il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose
che rappresentiamo”.
Cosa fare? Chiede Francesco ai presenti. Prendendo
spunto dal titolo del convegno la risposta del Papa è netta: il coraggio del dialogo,
che dà speranza, senza il dialogo c’è poca pace, “si stenta a uscire dallo stretto
orizzonte dei propri interessi, per aprirsi a un vero e sincero confronto”:
“Il
dialogo può vincere la guerra. Il dialogo fa vivere insieme persone di differenti
generazioni, che spesso si ignorano; fa vivere insieme cittadini di diverse provenienze
etniche, di diverse convinzioni. Il dialogo è la via della pace. Perché il dialogo
favorisce l’intesa, l’armonia, la concordia, la pace. Per questo è vitale che cresca,
che si allarghi tra la gente di ogni condizione e convinzione come una rete di pace
che protegge il mondo e soprattutto protegge i più deboli”.
In conclusione,
Francesco sollecita tutti i leader religiosi, chiamati ad essere veri “dialoganti”,
a costruire la pace come mediatori e non intermediari, perché se questi ultimi cercano
un guadagno per sé, i primi sono coloro che si spendono generosamente, fino a consumarsi,
per un unico guadagno: la pace:
“Ciascuno di noi è chiamato ad essere un
artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l'odio e non conservandolo,
aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri! Dialogare, incontrarci per
instaurare nel mondo la cultura del dialogo, la cultura dell’incontro”.
Preghiere:
è ciò che chiede Francesco, per la pace in Siria, in Medio Oriente, in tanti Paesi
del mondo e poi il suo auspicio che il “coraggio di pace doni il coraggio della speranza
al mondo, a tutti quelli che soffrono per la guerra, ai giovani che guardano preoccupati
il loro futuro”.