Assisi e Papa Francesco. L'Istituto Serafico: qui aspettiamo un grande amico
Ultimi giorni per la preparazione ad Assisi della visita di Papa Francesco il 4 ottobre.
Come Karol Woytila nel 1993, anche il Pontefice inizierà la sua visita dall’Istituto
Serafico, la grande struttura che ai piedi della città ospita e cura più di 100 pluriminorati
gravi di tutta Italia. Sono bambini e giovani che il Papa saluterà nella cappella
dell’Istituto, dopo l’atterraggio con l’elicottero nel vicino campo sportivo. Nell’udienza
del 12 giugno scorso, è stata la presidente del Serafico, Francesca di Maolo,
a consegnare al Pontefice una lettera di invito, “perché” dice, “questo è un luogo
speciale”. Gabriella Ceraso l’ha intervistata:
R. – Perché
crediamo che questo istituto oggi possa esprimere concretamente il messaggio di Francesco.
I nostri ragazzi rappresentano i semplici, riportano ai valori autentici della vita
con la loro lotta, ogni giorno, contro le sfide della disabilità. E San Francesco
si aprì all’amore proprio dopo quell’abbraccio ai lebbrosi. E noi pensiamo che questi
ragazzi, gravemente sofferenti, effettivamente portino all’apertura piena, all’amore.
D. – Il Papa non solo ha deciso di venire, ma ha deciso di iniziare la sua
visita ad Assisi proprio da voi: quindi le prime parole sono proprio per voi…
R.
– E’ stata una grandissima gioia, perché non pensavamo a tutto questo spazio. I ragazzi
vivono questo momento con grande naturalezza, perché per loro – dopo quell’incontro
il 12 giugno – è il padre: per loro è l’amico Francesco. Lo hanno invitato nella loro
casa e quindi si stanno preparando come chi aspetta l’ospita.
D. – Qual è
la missione di questo istituto? Lei ha parlato di un luogo speciale…
R. – Da
un lato, l’Istituto Serafico è un luogo di sofferenza, ma è un luogo anche di grazia.
Significa ogni giorno stare a contatto con la carne di Cristo che soffre.
D.
– Esiste la “cultura dello scarto”, di cui il Papa parla quando parla di chi mette
ai margini i malati, gli ultimi, i sofferenti?
R. – Esiste fortemente! Io conservo
la lettera di un genitore dei nostri ragazzi, che dopo la notizia della visita del
Santo Padre mi racconta di una grande restituzione ottenuta con questa visita. per
lui che è abituato a vivere sempre ai margini con suo figlio. Molti dei genitori mi
dicono anche che difficilmente riescono a portarli nei luoghi, nei luoghi pubblici,
proprio perché sono visti come soggetti non produttivi. Sono visti come un costo.
Le famiglie sono famiglie invisibili. E quindi, il fatto che il Papa ribalti la logica
è anche un grande messaggio sociale. Dopo il 4 ottobre, speroche possa cambiare un
po’ la logica della società: rimettere al centro proprio la persona, partendo dalla
persona ferita, partendo dalla famiglia ferita.
D. – Lei stessa ha vissuto
in prima persona questa sorta di paura di avvicinarsi a un luogo di sofferenza…
R.
– E’ così. Io stessa sono passata tante volte di fronte a questo Istituto, ma cercavo
di non pormi delle domande. Poi, invece, varcando la soglia dell’Istituto si subisce
una trasformazione. Poter stare a contatto con questi giovani, ci ha riportato ai
valori autentici della vita.
D. – I ragazzi stanno preparando qualcosa per
il Papa? Ci sarà uno scambio, uno dono?
R. – I ragazzi stanno lavorando nei
laboratori: c’è chi prepara un disegno, loro lavorano anche la ceramica… Non lo so
alla fine quale cosa uscirà fuori, ma sicuramente ci sarà. So che ruoterà intorno
al tema dell’abbraccio: per loro l’abbraccio è il contatto umano ed è importantissimo.
Parliamo di bambini e ragazzi che sono prigionieri nel buio, sono prigionieri della
loro disabilità. Quindi, poter entrare in contatto con l’altro diventa un’espressione
di amore, un’espressione di fiducia, di sicurezza. Anche questo diventa un messaggio,
un messaggio per tutti. E’ essere, appunto, sempre in relazione, in prossimità con
l’altro.
Ma sentiamo come stanno vivendo l’attesa del Papa i terapisti, gli
educatori, e i religiosi che lavorano al Serafico e che ogni giorno con amore si dedicano
ai ragazzi malati. Le interviste sono di Gabriella Ceraso:
D. – Che cosa
significa per voi religiose stare qui con questi ragazzi?
R. – E’ un luogo
dove veramente si vive il Vangelo dell’amore, dove noi siamo testimoni di questo.
I nostri ragazzi per noi sono dei figli.
D. – Per voi, penso che la presenza
del Papa abbia ancor più significato?
R. – Sì, per noi è un grande onore che
sta a dimostrare quell’amore preferenziale per gli ultimi.
D. – Cosa il Papa
può portare a loro, oltre che con al sua presenza, anche con le sue parole?
R.
– La tenerezza di un padre! Una fonte, oltre che di gioia, di speranza.
D.
- Voi lavorate con i più piccoli della struttura: che cos’è lavorare con loro ogni
giorno?
R. – Pazienza e tanto amore. Arrivare con un spirito di energia, di
positività…
D. – Loro ci saranno alla visita del Papa?
R. – Sì loro
saranno presenti. Non so quanto potranno capire la presenza del Papa, ma sicuramente
sentono questa grande energia di tutti noi, di noi educatori…
D. – Per voi
che cosa rappresenta questo momento?
R. – Un grande messaggio di pace, di serenità
sicuramente mi aspetto dal Papa. Forse una finestra che si apre in più in questo istituto
per far vedere al mondo, soprattutto in questo periodo, che siamo tutti un po’ individualisti,
cosa veramente si fa per gli esseri umani più indifesi.
D. – Un Papa che esprime
le sue emozioni abbracciando e incontrando che cosa può significare?
R. – Per
noi è tantissimo, perché è un po’ quello che facciamo anche noi tutti i giorni. Noi
lavoriamo molto sul contatto corporeo soprattutto, visto che lavoriamo anche con i
non vedenti… Il linguaggio verbale pieno di sovrastrutture per loro è poco significativo:
noi dobbiamo usare un linguaggio semplice come quello che un po’ usa il Papa. E comunque
molta empatia.
D. – Cosa, secondo lei e secondo voi che ci lavorate, può significare
la sua presenza proprio qui?
R. – Per noi è un dono grandissimo, perché comunque
è un’attenzione che lui rivolge a questo tipo di ragazzi, di persone, che sono un
po’ gli ultimi per la società: che sono sorvegliati, assistiti. Invece lui, in questo
caso, dà loro una valenza importante, che loro hanno chiaramente: lui ha colto l’essenza
della cosa. Non sono ragazzi da compatire, ma sono ragazzi da scoprire. Quindi è bellissimo
il fatto che lui venga qui a conoscerli. Per noi è emozionante. Anche per il nostro
lavoro di tutti i giorni è un incentivo grandissimo.
D. – Come stanno vivendo
questi ragazzi l’attesa del Papa?
R. – Con tante emozione, veramente con tante
emozione. Loro sono felicissimi e stanno pensando anche a cosa regalare. Quindi stanno
sperimentando con le varie tecniche, con il colore, con l’argilla cose da produrre,
regali da produrre proprio per il Santo Padre.
D. – Fanno domande?
R.
– Sì. Vogliono sapere quando arriverà, come sarà vestito… Ieri Ivan ha addirittura
provato a fare un ritratto del Santo Padre.