Il "disgelo" tra Teheran e Washington. L'opinione di Negri: speranze per la regione
In Iran, la notizia del "disgelo" tra i due Paesi è stata accolta molto favorevolmente,
non solo dalla stampa riformista. Un sms circolato a Teheran in queste ore, parla
di Rohani come di un “coraggioso presidente”, esortando gli abitanti della capitale
a recarsi all’aeroporto per accogliere il leader di rientro da New York. Sulla valenza
della ripresa dei contatti con gli Stati Uniti, Eugenio Bonanata ha intervistato
Alberto Negri,inviato speciale de Il Sole 24 Ore:
R. - Ora bisogna
ragionare e chiedersi quanto ci vuole e cosa ci vuole per fare la pace tra Iran e
Stati Uniti. Occorre una buona dose di realpolitik e di reciproca fiducia dopo decenni
di insanabili diffidenze perché la rottura è durata tantissimo tempo e, come tutti
sanno, una ripresa dei negoziati sul nucleare sarà decisiva. Obama si è detto disposto
ad alleggerire le sanzioni nel caso gli iraniani diano finalmente via libera all’ispezione
dell’Onu, chiudano una delle loro installazioni - quella più segreta, che si trova
a Fordow vicino a Qom - e poi, in qualche modo, rinuncino in maniere chiara ad eventuali
intenzioni e finalità militari del loro programma nucleare civile.
D. - Tutto
questo però è ancora da vedere …
R. - Il negoziato riprende tra il 15 e il
16 di ottobre a Ginevra. In parte, la strada era già stata spianata l’altro giorno
con l’incontro che c’è stato tra il cosiddetto 5+1 e l’Iran, durante il quale il segretario
di Stato americano Kerry era seduto affianco al ministro iraniano, Javad Zarif. Già
in questa riunione si è capito che si potrà entrare presto nel concreto. Gli iraniani
hanno detto - e lo ha confermato lo stesso presidente Rohani in varie interviste in
questi giorni - che l’obbiettivo è concludere un negoziato entro un anno. E forse
ancora prima. Perché ancora prima? Perché le sanzioni - sappiamo - stanno condizionando
e soffocando l’economia iraniana. Vi do alcune cifre: l’Iran fino all’anno scorso
esportava due milioni e mezzo di barili di petrolio, oggi le sanzioni petrolifere
li hanno ridotti della metà: un milione di barili. E poi la disoccupazione è alta
e l’inflazione sale. In queste condizioni, anche gli iraniani hanno bisogno di un’intesa
con gli Stati Uniti.
D. - C’è da essere ottimisti sull’esito dei negoziati?
R.
- C’è da essere realisti. La rottura diplomatica tra Teheran e gli Stati Uniti è durata
34 anni, dalla rivoluzione del ’79. Non si può pensare che tutti gli ostacoli e le
reciproche diffidenze vengano superate con una telefonata o in una notte di trattative.
Ci vorrà del tempo. Però, è chiaro che questa può essere una svolta storica non solo
per il Medio Oriente, ma anche oltre tutta questa regione. È anche una speranza per
il futuro. Insomma: si fanno i conti con la storia, ma si cerca anche di dare una
speranza alle future generazioni.
D. - Quali conseguenze può avere nell’area
mediorientale questo disgelo avviato?
R. - Anzitutto, bisogna concentrarsi
sugli alleati degli americani? Gli Stati Uniti per avviare questo disgelo devono superare
la forte ostilità di Israele ad aprire dei negoziati con un Paese come l’Iran, che
loro ritengono un nemico acerrimo. Non solo, ma ci sono delle differenze soprattutto
da parte degli arabi sunniti, in particolare delle monarchie petrolifere del Golfo,
che hanno sempre guardato con sospetto e con diffidenza gli sciiti iraniani. Insomma,
non si tratta soltanto di trattare sul nucleare o sulle sanzioni, ma si tratta anche
si rimuovere quel macigno di diffidenza culturale e politica che per più di 30 anni
ha avvolto questa regione.