Sierra Leone. Confermata la condanna del presidente liberiano Taylor per crimini contro
l'umanità
La Corte speciale delle Nazioni Unite per la Sierra Leone, con sede all'Aja, ha confermato
in appello la condanna a 50 anni di carcere per l’ex presidente liberiano Charles
Taylor, colpevole di crimini contro l’umanità commessi proprio in Sierra Leone durante
la guerra civile, durata dal 1991 al 2002. Le responsabilità riconosciute a Taylor
sono di aver reclutato bambini soldato, torturato, ucciso e aver garantito rifornimenti
di armi ai ribelli facendosi pagare con i tristemente conosciuti “diamanti di sangue”.
Davide Pagnanelli ha chiesto a mons.Giorgio Biguzzi, vescovo
di Makeni all’epoca dei fatti, quale fosse il ruolo di Charles Taylor:
R. – Era un
ruolo di supporto ai combattenti, anzitutto perché l’incursione in Sierra Leone è
partita con un gruppo che si riteneva sostenuto dalla Liberia. Quando questo gruppo
di ribelli era in possesso di una quantità enorme di armi, ci si è chiesti come venissero
finanziate. Una delle prime aree occupate da tali combattenti era quella delle zone
diamantifere: quindi si è tirata la conclusione che venissero passati diamanti in
cambio di armi. Quando poi sono state pubblicate le statistiche di quanti diamanti
la Liberia esportasse, ci si è accorti che era una quantità molto superiore alle possibilità
della Liberia. Era chiaro allora che venissero da altrove, da altri territori. Questo
è stato accertato dalla Corte: c’è stato un ruolo attivo da parte del presidente della
Liberia Taylor nel fomentare la guerra in Sierra Leone, con i crimini che sono stati
commessi.
D. – Come si mosse la Chiesa per rispondere a questa situazione?
R.
– La Chiesa è sempre stata parte integrante del tessuto sociale della Sierra Leone,
attraverso ovviamente le opere educative e assistenziali. In quel momento, i vescovi
hanno scritto lettere per la pace e contro le violenze. La Chiesa è sempre stata molto
coinvolta a livello anche locale, attraverso i catechisti, attraverso i sacerdoti,
attraverso i missionari nell’assistenza ai bambini soldato, agli emigrati interni,
a quelli che hanno dovuto poi scappar via nella vicina Guinea. Dopo c’è stato tutto
il processo di riconciliazione attraverso il Consiglio interreligioso: era ovvio che
la Chiesa fosse molto presente.
D. – Qual è, invece, la situazione della Sierra
Leone oggi?
R. – La pacificazione è avvenuta. I bambini soldato ovviamente
sono cresciuti e reinseriti nella società, ci sono state le elezioni, che sono state
pacifiche. La situazione oggigiorno è di pace e di sicurezza nazionale. C’è molto
sviluppo delle infrastrutture, ci sono investimenti stranieri. La nazione sta marciando.
Il progresso continua e, quando si guarda alla nazione, sembra di essere in un cantiere
aperto, da un confine all’altro del Paese. La Chiesa continua la propria missione
evangelizzatrice, perché non sia conosciuta come una ong e su questo Papa Francesco
ci ha messo in guardia. La Chiesa è comunque ancora molto radicata.