Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti: gli interventi di Ravasi e Scalfari
Si è svolto ieri a Roma il Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti. Al centro
dell’incontro il dialogo tra il presidente del Pontificio Consiglio della cultura,
il cardinale Gianfranco Ravasi, e il fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio
Scalfari. Il Cortile dei Gentili – lo ricordiamo – è la struttura creata da Benedetto
XVI per promuovere il dialogo tra credenti e non credenti. C’era per noi Fabio
Colagrande:
“Non siamo qui
per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni
diverse debbano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata”.
Così, Eugenio Scalfari, chiude la sua conversazione con il cardinale Ravasi, con il
quale confessa di avere da tempo un territorio spirituale e mentale comune. Il fondatore
di Repubblica l’aveva aperta ribadendo di essere ‘innamorato’ di Gesù, proprio da
quando, in gioventù, scelse di abbandonare la fede. Ricorda di aver praticato, forzatamente,
gli Esercizi Spirituali nella Casa del Sacro Cuore a Roma, dove trovò rifugio come
renitente alla leva fascista. “Debbo molto a quei gesuiti che mi insegnarono a ragionare”
– confessa - “ma sono innamorato dei francescani”. L’intellettuale non credente spiega
così il suo interesse per il dialogo con i cattolici e individua nella morte di Cristo
in croce il culmine dell’incarnazione e del messaggio cristiano. E’ proprio in quella
scelta di anteporre l’amore per gli altri all’egoismo Scalfari trova un messaggio
importante per una società dove “il tasso di narcisismo è diventato patologico”.
Ravasi loda Scalfari per l’intuizione e ribatte descrivendo il grido di Cristo sulla
croce – “Dio mio perché mi hai abbandonato?” – come “l’ateismo salvifico di Cristo”
– a cui – specifica però, la teologia giustappone la Resurrezione in quanto Cristo
resta il Figlio anche se non sente il Padre e così “depone nella mortalità il seme
dell’infinito”.
Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura riprende
anche il tema del ruolo della Chiesa nella rivoluzione della comunicazione dell’era
digitale. Ricorda che Gesù nei Vangeli ci offre un metodo quando utilizza il linguaggio
breve dei ‘tweet’ in modo sistematico, la sceneggiatura televisiva attraverso le ‘parabole’
e basa sulla corporeità il suo annuncio. “Se un pastore oggi non si interessa di comunicazione
– aggiunge – è al di fuori del suo ministero”. Ma nell’ambiente della nuova comunicazione
digitale – spiega Ravasi - il linguaggio della Chiesa deve avere una “nuova grammatica”,
più diretta, abbandonando le “subordinate”. E a fare da apripista – di questa rinnovata,
efficace presenza della Chiesa nell’agorà - sembrano proprio le lettere di Papa Francesco
e del Papa emerito al quotidiano La Repubblica e l’intervista di Francesco alla Civiltà
Cattolica. Gli fa eco in chiusura Scalfari che, d’accordo sulla nascita di un nuovo
linguaggio, affida proprio alla religione il compito di trasmettere alla nuova civiltà,
in corso di formazione, il retaggio dei valori incancellabili del passato.
Nei
due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali, dai laici
De Bortoli, Corriere della Sera, e Calabresi, La Stampa, ai colleghi cattolici Tarquinio,
Avvenire, e Vian, Osservatore Romano, si confrontano su tematiche di etica della comunicazione
come verità, obbiettività e responsabilità. Ma si parla anche del rinnovato interesse
dei mass-media per la Chiesa, grazie al Pontificato di Papa Francesco. Misericordia
e umiltà – viene sottolineato - sono le cifre di un linguaggio che conquista credenti
e non credenti. Respingere il sensazionalismo, ridare centralità alla persona, favorire
il dialogo e non lo scontro, onestà nei confronti dei lettori e della redazione, sembrano
invece le regole d’oro per i direttori della carta stampata. “Il nostro compito come
‘cercatori di verità’ - ricorda Mauro, direttore de La Repubblica – è stare nel cortile,
nelle piazze, tenendoci distanti dal potere”. Senza tralasciare un tema caro a Benedetto
XVI, ricordato dal direttore del Sole 24ore, Napoletano, la “ragione allarga il suo
orizzonte con la fede”.
Ma ascoltiamo quanto lo stesso Eugenio Scalfari, dopo
il recente scambio epistolare con il Papa, ha detto di questi primi mesi di Pontificato
e della possibilità effettiva di un dialogo tra credenti e non credenti. L’intervista
è di Fabio Colagrande:
R. – Il Papa
parla continuamente e con tutti, nelle piazze e addirittura con singole persone. Questo
l’ho saputo, lo so. Lo seguo e sono molto interessato a sapere non solo quello che
dice, ma come vive la persona del Papa. La persona è una presenza rivoluzionaria.
Infatti, non a caso, è un gesuita che prende il nome di Francesco, che finora nessun
Papa aveva preso. Io temo che non ci sarà un Francesco II.
D. – Lei crede che
il dialogo che questa mattina ha avuto con il cardinal Ravasi sia in qualche modo
esemplare di un possibile incontro fecondo fra chi crede e chi non crede?
R.
– Con un uomo come lui è molto piacevole dibattere, perché lui è uno di quelli che,
come diceva il cardinal Martini, perde la fede ogni giorno, perché deve riconquistarla
il giorno dopo. Voglio dire: la fede va vissuta quotidianamente ed è sempre a rischio;
merita una ricerca continua, un ascolto continuo delle voci che ci circondano.
D.
– Infine, come non credente, quale ruolo sociale riconosce alla religione in questo
momento?
R. – Non in questo momento. La religione è uno dei sentimenti basilari;
è uno dei modi con cui le persone che credono danno un senso alla vita.
D.
– E in questo senso ne viene un ruolo sociale?
R. – Può incoraggiare le opere
meritevoli del premio del Paradiso.