Iran: il discorso di Rohani all'Onu. Nessun incontro con Obama
Discorso del presidente iraniano Rohani ieri all’Assemblea generale delle Nazioni
Unite, a New York. Rohani afferma di voler ricucire i rapporti con l'Occidente e il
suo intervento ha avuto toni moderati, ben diversi dalle invettive del suo predecessore
Ahmadinejad, che minacciava di "cancellare Israele dalle mappe". Ma come definire
questo nuovo corso della Repubblica Islamica? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Farian Sabahi, cultore della materia in Storia dei Paesi islamici presso
l’Università di Torino:
R. - E’ un nuovo
corso, dove ayatollah e pasdaran fanno di necessità virtù: quindi la parola d’ordine
è pragmatismo, opportunismo, interesse nazionale. Diciamo che le sanzioni internazionali
hanno causato un isolamento dell’Iran e hanno dato un colpo durissimo all’economia
e alla finanza della Repubblica Islamica. Oggi, per l’Iran, si tratta di rompere questo
isolamento, di risollevare l’economia e soprattutto di salvare la faccia. Quindi,
l’importante è che l’Occidente dia un qualche ruolo all’Iran in Medio Oriente e ci
sia rispetto di fatto.
D. - Negli anni scorsi, molti rappresentanti occidentali
uscivano dall’aula quando Ahmadinejād parlava all’Onu: questa volta potrebbe essere
solo Israele a disertare il suo intervento. Eppure, proprio con Israele, Rohani ha
mostrato - almeno nell’intenzione - un atteggiamento piuttosto costruttivo…
R.
- Sì un atteggiamento costruttivo, anche perché ad accompagnare Rohani a New York
non è soltanto il ministro degli Esteri Zarif, ma anche un deputato ebreo: questo
per dimostrare che l’Iran rispetta le minoranze religiose, in particolare la minoranza
ebraica, ma nell’intervista su Nbc, Rohani ha detto di non essere uno storico, ma
un politico: quindi non ha risposto in modo esauriente alla domanda sull’Olocausto.
Certo è che Ahmadinejad parlava non tanto all’Occidente, ma agli arabi e per questo
aveva detto tante cose con un tono pro-palestinese e poi era di fatto "sfuggito di
mano" a Khamenei. Quindi, l’esigenza di rompere l’isolamento internazionale c’era
da tempo ai vertici della Repubblica Islamica, il problema è che né il leader supremo,
né Washington erano disposti a dare questa soddisfazione, a concedere questo risultato
al presidente uscente Ahmadinejad. C’è voluto un uomo nuovo, in questo senso.
D.
- Che tipo di ruolo può svolgere l’Iran nella crisi siriana, anche in vista della
mediazione proposta dallo stesso Rohani?
R. - Se l’amministrazione Obama è
disponibile nei confronti dell’Iran è perché Rohani non è Ahmadinejad: Rohani è più
forte di Ahmadinejad, perché è stato eletto senza brogli e senza quella repressione
durissima che avevamo visto nel 2009; e, poi, perché è appoggiato da Khamenei - ricordiamo
che è il leader supremo a fare politica estera e politica nucleare in Iran - ma anche
perché Washington ha di fatto bisogno di Teheran per pacificare la Siria e poi anche
per pacificare il Libano, l’Iraq e il Bahrain. Quindi il ruolo dell’Iran sarà fondamentale
a Damasco. Resta, però, da vedere come si muoveranno Israele e i Paesi del Golfo.
I Paesi del Golfo sono monarchie sunnite che si sono riunite nel Consiglio di cooperazione
del Golfo e non vedono certo di buon occhio l’emergere di un accordo tra Teheran e
Washington: Teheran è un Paese, un colosso sciita che fa tanto paura ai Paesi del
Golfo, che sono più piccoli e sono sunniti.