Kenya: in corso a Nairobi il blitz dell'esercito per fermare l'attacco degli Shebaab
È salito ad almeno 69 vittime e oltre 150 feriti il bilancio dell’attacco a Nairobi,
in Kenya, dei miliziani somali Shebaab al centro commerciale Westgate. Prese
in ostaggio decine di persone, molte delle quali già rilasciate. Al momento è in corso
il blitz dell'esercito e delle forze speciali kenyane contro i guerriglieri. Udite
violente sparatorie e almeno tre esplosioni. Tra le vittime, anche stranieri. Dai
leader religiosi kenyani - che partecipano al Consiglio interreligioso, citato dall’Agenzia
Fides - è giunta una ferma condanna all’attacco e la certezza che “fallirà ogni tentativo
di seminare discordia tra musulmani e cristiani”: secondo alcune fonti infatti gli
assalitori avrebbero selezionato le loro vittime in base all’affiliazione religiosa.
Per una testimonianza su quanto sta accadendo, Giada Aquilino ha intervistato
padre Franco Moretti, missionario comboniano a Nairobi, già direttore della
rivista ‘Nigrizia’:
R. – Gli Shebaab
hanno scelto proprio questo centro commerciale perché è frequentato, soprattutto durante
i fine settimana da gente ricca, membri delle ambasciate, degli organismi governativi.
Qui si trova tutto, dal negozio al bar, al ristorante, al cinema, al teatro, ai giochi
per i bambini. Quindi, hanno scelto proprio questo luogo per attirare l’attenzione
mondiale.
D. - Perché gli Shebaab hanno colpito a Nairobi?
R. - Subito
dopo la notizia dell’attacco, Al Qaeda ha rivendicato l’attentato. Già si sospettava
che gli autori fossero membri del gruppo islamista fondamentalista somalo Al Shebaab-la
gioventù. Negli anni scorsi, questi miliziani erano arrivati a controllare l’intera
Somalia; però davano fastidio ad alcuni, come ad esempio al Kenya. Dobbiamo ricordarci
che due anni fa l’esercito del Kenya ha invaso la Somalia, scacciando, arrestando
e uccidendo i membri di questo gruppo. Quindi, l'attacco al Westgate è, per
loro, una ritorsione, una vendetta: lo avevano preannunciato mille altre volte che
avrebbero colpito. E non è la prima volta che gli Al Shebaab - sostenuti da Al Qaeda
- attaccano il Kenya. Senza tornare indietro all’attentato all’ambasciata americana
del ’99, basta ricordare che l’anno scorso una chiesa è stata sabotata e tanti altri
luoghi sono stati bersaglio di questi attacchi somali. Oggi i somali in Kenya sono
circa un milione, quasi tutti stanziati in una zona di Nairobi che ormai chiamano
“la piccola Somalia”: è una zona ricchissima. C’è il sospetto - qualcuno dice ormai
la certezza - che in Kenya i somali "risciacquino" i soldi ottenuti con i riscatti
attraverso la pirateria. È facile quindi introdurre, mediante questa grande quantità
di persone, elementi di gruppi fondamentalisti.
D. - Ci sono forze esterne
che muovono questa o quella parte?
R. - Non credo. Ovviamente nessuno in Kenya
vuole questi atti di terrorismo. I kenyani sono veramente scioccati, non hanno mai
pensato ad una cosa del genere e ora vorrebbero che il governo intervenisse in modo
decisivo, ripulendo il Paese da questi giovani fondamentalisti. Ma dove li trovi?
È un po’ difficile. La gente però non sembra aver dimenticato che l’esercito kenyano
sta occupando parte della Somalia: non sto parlando di giustificazioni, ma è per capire
perché ci possano essere questi attentati portati avanti dai somali. Perché la Somalia
ha il dente avvelenato con il Kenya. Al momento buona parte della Somalia dell’Est
è occupata dall’esercito kenyano che entrò nel Paese senza alcun mandato né dell’Onu,
né dell’Unione africana. Solamente in seguito è arrivato l'appoggio dell’Unione africana.
D.
- In queste ore la Chiesa come è impegnata?
R. - Tutto il Kenya è mobilitato.
Uno dei quotidiani locali ha lanciato un appello e attraverso il telefonino, con gli
sms, è riuscito a raccogliere circa 30 milioni di scellini. Quindi c’è una forte generosità.
Migliaia di persone si sono presentate negli ospedali per donare sangue perché in
televisione c’erano appelli in tal senso. Ieri ovviamente in tutte le chiese si è
pregato per la pace. Il Paese è davvero scosso. I vescovi stanno invitando la gente
a pregare per la riconciliazione, ad aiutare, ad assistere le persone che sono rimaste
ferite e quelle che hanno avuto un familiare ucciso. Anche il nipote del presidente
è stato ucciso. Si sta insomma cercando di aiutare i fedeli a non lasciarsi prendere
dal senso di rivalsa o a vendicarsi.