Sierra Leone: l'impegno dei saveriani per madri e bambini a Freetown
Un seme germogliato tra mille difficoltà: è stata questa, in Sierra Leone, l’esperienza
del Family Homes Movement, fondato dal missionario saveriano padre Giuseppe Berton,
scomparso di recente. Ma grazie a una rete di amici e di volontari la sua missione
al servizio dei più deboli – cominciata durante la guerra civile e proseguita con
la pace - non è andata perduta. Ce ne parla Davide Maggiore:
“L’angelo
dei bambini soldato”: così era soprannominato padre Berton, perché, durante il conflitto
che insanguinò la Sierra Leone tra il 1991 e il 2002, volle dedicarsi innanzitutto
al loro recupero, da cui una vera pacificazione non poteva prescindere. Ma una volta
concluse le ostilità, furono altre le emergenze da affrontare, legate ai traumi che
la guerra aveva lasciato su tutta la popolazione. Sono nate quindi altre iniziative,
come spiega il dottor Roberto Ravera, psicologo, già collaboratore del missionario,
che oggi contribuisce a portarle avanti:
“I bambini soldato comunque crescevano
e ne abbiamo aiutati molti ad inserirsi socialmente. Ma il problema fondamentale è
che poi sono emerse tutte le altre piaghe che aveva questo Paese: e quasi tutte colpiscono
prevalentemente i bambini, l’infanzia e le madri. Quindi padre Berton si era posto
anche il problema di come fare un intervento da un punto di vista medico-sanitario
nell’ambito della salute mentale, cioè della psicologia”.
Tra le giovani
vittime del clima di violenza ci sono anche i ragazzi di strada arrestati per i più
vari motivi. Il dottor Ravera descrive le loro condizioni in prigione:
“Ricordo
di quando, alcuni anni fa, sono entrato per la prima volta nel carcere minorile di
Freetown. Qui ho trovato una situazione veramente incredibile: più di 70 bambini dai
10 ai 13 anni ammassati in questo grande stanzone sporco, senza bagno, con due secchi
e chiusi là dentro tutto il giorno. Si picchiavano e avevano organizzato tutto un
sistema di gang, di bande all’interno del carcere”.
Intervenire in questo
contesto ha significato impegnarsi in molti campi diversi. Ancora il dottor Ravera:
“Ha
comportato entrare massicciamente lì dentro, fornendo assistenti sociali e educatori.
Abbiamo fatto attività ricreative, di assistenza medica, la scuola … Noi abbiamo anche
due comunità. Quindi in sostanza possiamo accogliere i ragazzi del carcere e quando
sono pronti, farli uscire da lì e venire in un luogo sicuramente più umano”.
Le
stesse problematiche psicologiche non possono essere affrontate da sole: è per questo
che il Family Homes Movement, in Sierra Leone, sostiene anche progetti in campo sanitario.
Attraverso sei ambulatori che forniscono assistenza sanitaria gratuita nelle aree
più disagiate di Freetown, e puntando sul coinvolgimento di personale locale si riesce
ad entrare in contatto con le situazioni più urgenti. E nell’affrontarle – conclude
il dottor Ravera - è fondamentale il richiamo all’esperienza di padre Berton:
“Insieme
a padre Berton abbiamo sempre discusso dei grandi problemi che ci sono in Sierra Leone:
l’urbanizzazione - quindi la rottura di tutti gli schemi legati alla tradizione, al
villaggio - e l’ingiustizia sociale. La ricchezza comincia a muoversi, ma va a ‘cadere’
quasi sempre su pochi. E padre Berton ha sempre sostenuto che ogni progetto dovesse
in qualche modo andare a lavorare sulla possibilità di educare gli uomini alle necessità
dei più deboli e dei più fragili. In Sierra Leone i più fragili sono sempre i bambini
e le loro madri”.