Mons. Dahdah: le guerre in Medio Oriente sono conflitti tra sunniti e sciiti
La guerra in Siria ha pesanti ripercussioni sul vicino Libano, sia dal punto di vista
umanitario che politico. Salvatore Sabatino ha intervistato il vicario apostolico
dei latini di Beirut, mons. Paul Dahdah:
R. - Siamo fortemente
e profondamente condizionati dalla guerra in Siria: una delle conseguenze è che le
elezioni parlamentari sono state rinviate. Se si continua così, anche le elezioni
per il presidente della Repubblica, che sono in programma fra quasi un anno, potrebbero
essere rinviate. C’è un clima di attesa e di paura che si riscontra più o meno in
tutti i Paesi limitrofi alla Siria: attualmente tutti i Paesi arabi, secondo me, hanno
paura.
D. – Ci sono anche difficoltà dal punto di vista umanitario: sono tantissimi
i profughi che sono arrivati in Libano…
R. – I profughi sono tantissimi. Caritas
Libano, che è di tutti i cattolici del Libano, sta lavorando molto, ma questo non
rappresenta la soluzione definitiva del problema. Oltre ai profughi ci sono anche
famiglie benestanti che sono venute in Libano sin dall’inizio del conflitto: hanno
comprato appartamenti e si vedono macchine di lusso; vengono soprattutto da Aleppo
e Damasco.
D. – Il Libano è stato sempre uno straordinario Paese di convivenza,
di incontro tra le religioni; anche la Siria in un certo modo lo era. C’è la percezione
del pericolo per cui qualche cosa possa cambiare anche in Libano?
R. – Sì,
il pericolo c’è, ma è difficile andare a capire quale possa essere: oggi in Medio
Oriente, per la guerra che c’è in Siria, il problema è “musulmano-musulmano”, è “sunnita-sciita”
e da noi in Libano questo è molto visibile. Ormai i cristiani sono divisi in due fazioni,
una con gli sciiti e l’altra con i sunniti; nella stessa comunità sunnita c’è il problema
del Muftì – il capo religioso – che ha problemi con i suoi fedeli e conflitti con
i politici … Insomma, è tutto un caos. Che possa venir meno questa convivenza? Tutto
è possibile, oggi. Non c’è niente di garantito, né di scontato. Non si sa.
D.
– I cristiani che hanno sempre avuto un ruolo di mantenimento degli equilibri, attualmente
che ruolo svolgono in Libano?
R. – Non svolgono nessun ruolo! Come ho detto,
i cristiani stanno una parte con gli uni e una parte con gli altri. Questo, da un
certo punto di vista, fa anche bene per mantenere un certo equilibrio, ma non sono
loro che decidono. Certo, noi siamo un po’ più dialoganti, più aperti e concilianti,
ma quando ci sono le armi tutto questo finisce male.
D. – C’è la percezione
che la guerra possa arrivare anche in Libano?
R. – Non si può avere una percezione
così sicura, perché la percezione è una cosa soggettiva, non oggettiva.
D.
– C’è paura?
R. – C’è paura tra la gente. Chi può andar via se ne va, ma si
continua a vivere. Ormai siamo abituati: io sono sacerdote da quasi 45 anni e i due
terzi della mia vita sacerdotale li ho passati in guerra; tra le guerre civili in
Libano e la guerra tra Iraq e Iran, poi l’entrata di Saddam Hussein in Kuwait, l’uscita
e l’embargo, abbiamo passato tutta una vita in guerra. Fino ad ora però ci siamo salvati
...
D. – Voi vescovi del Medio Oriente avete preso una posizione molto netta
contro un possibile intervento internazionale in Siria…
R. – Certo: già in
quanto cristiani bisognava farlo! La violenza non crea la pace: è quello che ha detto
il Papa e aveva pienamente ragione, e tutti si sono uniti a lui, anche i non cattolici
e tanti musulmani. Interventi militari ne abbiamo avuti: guerra e pace non possono
stare insieme, è una contraddizione. Perché un intervento militare? Per interessi
e per ragioni politiche! Lo capisco, ma questi interessi non sono i nostri, né sono
le nostre ragioni. Noi predichiamo la pace e dobbiamo contribuire a stabilirla.