2013-09-19 15:55:04

Mons. Dahdah: le guerre in Medio Oriente sono conflitti tra sunniti e sciiti


La guerra in Siria ha pesanti ripercussioni sul vicino Libano, sia dal punto di vista umanitario che politico. Salvatore Sabatino ha intervistato il vicario apostolico dei latini di Beirut, mons. Paul Dahdah:RealAudioMP3

R. - Siamo fortemente e profondamente condizionati dalla guerra in Siria: una delle conseguenze è che le elezioni parlamentari sono state rinviate. Se si continua così, anche le elezioni per il presidente della Repubblica, che sono in programma fra quasi un anno, potrebbero essere rinviate. C’è un clima di attesa e di paura che si riscontra più o meno in tutti i Paesi limitrofi alla Siria: attualmente tutti i Paesi arabi, secondo me, hanno paura.

D. – Ci sono anche difficoltà dal punto di vista umanitario: sono tantissimi i profughi che sono arrivati in Libano…

R. – I profughi sono tantissimi. Caritas Libano, che è di tutti i cattolici del Libano, sta lavorando molto, ma questo non rappresenta la soluzione definitiva del problema. Oltre ai profughi ci sono anche famiglie benestanti che sono venute in Libano sin dall’inizio del conflitto: hanno comprato appartamenti e si vedono macchine di lusso; vengono soprattutto da Aleppo e Damasco.

D. – Il Libano è stato sempre uno straordinario Paese di convivenza, di incontro tra le religioni; anche la Siria in un certo modo lo era. C’è la percezione del pericolo per cui qualche cosa possa cambiare anche in Libano?

R. – Sì, il pericolo c’è, ma è difficile andare a capire quale possa essere: oggi in Medio Oriente, per la guerra che c’è in Siria, il problema è “musulmano-musulmano”, è “sunnita-sciita” e da noi in Libano questo è molto visibile. Ormai i cristiani sono divisi in due fazioni, una con gli sciiti e l’altra con i sunniti; nella stessa comunità sunnita c’è il problema del Muftì – il capo religioso – che ha problemi con i suoi fedeli e conflitti con i politici … Insomma, è tutto un caos. Che possa venir meno questa convivenza? Tutto è possibile, oggi. Non c’è niente di garantito, né di scontato. Non si sa.

D. – I cristiani che hanno sempre avuto un ruolo di mantenimento degli equilibri, attualmente che ruolo svolgono in Libano?

R. – Non svolgono nessun ruolo! Come ho detto, i cristiani stanno una parte con gli uni e una parte con gli altri. Questo, da un certo punto di vista, fa anche bene per mantenere un certo equilibrio, ma non sono loro che decidono. Certo, noi siamo un po’ più dialoganti, più aperti e concilianti, ma quando ci sono le armi tutto questo finisce male.

D. – C’è la percezione che la guerra possa arrivare anche in Libano?

R. – Non si può avere una percezione così sicura, perché la percezione è una cosa soggettiva, non oggettiva.

D. – C’è paura?

R. – C’è paura tra la gente. Chi può andar via se ne va, ma si continua a vivere. Ormai siamo abituati: io sono sacerdote da quasi 45 anni e i due terzi della mia vita sacerdotale li ho passati in guerra; tra le guerre civili in Libano e la guerra tra Iraq e Iran, poi l’entrata di Saddam Hussein in Kuwait, l’uscita e l’embargo, abbiamo passato tutta una vita in guerra. Fino ad ora però ci siamo salvati ...

D. – Voi vescovi del Medio Oriente avete preso una posizione molto netta contro un possibile intervento internazionale in Siria…

R. – Certo: già in quanto cristiani bisognava farlo! La violenza non crea la pace: è quello che ha detto il Papa e aveva pienamente ragione, e tutti si sono uniti a lui, anche i non cattolici e tanti musulmani. Interventi militari ne abbiamo avuti: guerra e pace non possono stare insieme, è una contraddizione. Perché un intervento militare? Per interessi e per ragioni politiche! Lo capisco, ma questi interessi non sono i nostri, né sono le nostre ragioni. Noi predichiamo la pace e dobbiamo contribuire a stabilirla.







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